Il presidente Banchieri: “Arginiamo il fenomeno, o avremo città-dormitorio. Bisogna puntare su un turismo di qualità”
Sono oltre 15.000 le abitazioni in Piemonte offerte ai turisti con la formula airbnb: ciò significa oltre 32.000 camere per oltre 66.000 posti letto; Torino e provincia pesano per circa la metà. A queste case – gestite da privati – si aggiungono le già esistenti case vacanze, bed and breakfast, residence e affittacamere, cioè il settore cosiddetto extralberghiero, gestito invece in forma imprenditoriale: in complesso, oltre 5.600 strutture.
Per gli Airbnb la crescita è esponenziale: fra il 2022 e il 2024, di quasi il 60% in termini di strutture (da 9.654 a 15.440), di oltre il 64% in termini di camere (da 19.630 a 32.205) e di oltre il 60% in termini di posti letto (da 41.427 a 66.520). Ma l’aumento esclusivamente riferito alle grandi città come Torino dà una percentuale ben più alta: +196% (media nazionale). Il trend è avvalorato dal numero di arrivi in questo tipo di strutture, aumentato negli ultimi due anni del 73,4% in Piemonte.
Meno significativa la crescita dell’extralberghiero: 2,6% fra il 2022 e il 2024; circa 26% fra il 2014 e il 2024. Gli arrivi degli ultimi due anni in questo comparto si attestano sul +3,8%.
A fronte di ciò, il settore alberghiero risulta in contrazione: negli ultimi dieci anni ha perso il 10,3% delle strutture (da 1506 a 1351), corrispondenti a un calo di oltre il 4% in termini di posti letto (da 84.235 a 80.739).
Sono dati elaborati dall’Ufficio sudi di Confesercenti, sulla base di una analisi delle statistiche camerali e dei principali portali di Airbnb.
L’esplosione degli Airbnb sta trasformando non solo il comparto ricettivo, ma anche città e paesi: un fenomeno avvertito soprattutto nei centri storici delle città più grandi, nei quali si assiste a una contrazione del commercio di vicinato. Nei primi tre mesi del 2024 in Piemonte il commercio al dettaglio ha registrato la scomparsa di 786 imprese, circa 80 unità in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A pesare sono state le chiusure – 1380 tra gennaio e marzo – ma soprattutto la frenata della natalità delle imprese. Le aperture di nuove attività nel primo trimestre di quest’anno sono state solo 594; dieci anni fa erano più del doppio. Tra chiusure e mancate aperture, in Piemonte il numero di negozi di vicinato in dieci anni è calato del 15% circa, ma per alcuni settori particolarmente in sofferenza, come abbigliamento ed edicole, questa percentuale raddoppia. Se le vetrine scompaiono, le consegne di acquisti online in poco più dieci anni sono cresciute di quasi dieci volte: erano 75milioni circa nel 2013, a fine di quest’anno dovrebbero arrivare a 734 milioni a livello nazionale.
“La presenza di un diffuso settore di accoglienza extralberghiera – dice Giancarlo Banchieri, presidente di Confesercenti Torino – può essere un fatto positivo, perché spesso queste strutture operano in territori dove, per ragioni organizzative ed economiche, non sarebbe sostenibile una attività alberghiera. Ciò che preoccupa è invece la diffusione di piattaforme come Airbnb. Ora è più facile per i proprietari di immobili entrare nel mercato dell’affitto breve e un sempre maggiore numero di persone vede nelle locazioni turistiche un’opportunità di reddito aggiuntivo. Ma quali sono i costi sociali di un fenomeno che finora non è stato né regolamentato, né limitato? Per ora assistiamo una tripla metamorfosi per i nostri centri urbani: gli appartamenti diventano attività ricettive, i negozi e i servizi essenziali spariscono e il commercio si dematerializza. Tutto ciò danneggia non soltanto le categorie economiche direttamente interessate, ma fa male complessivamente alle nostre città e ai nostri centri storici. La sostanziale assenza di regole per gli affitti brevi svuota i centri delle città di residenti, sostituendoli con turisti: un processo che contribuisce a rendere meno sostenibili le imprese del commercio di vicinato, già in difficoltà per la concorrenza delle grandi catene e delle piattaforme di web, che pagano tasse infinitamente inferiori a quelle delle nostre imprese; sostanzialmente, un gigantesco meccanismo di concorrenza sleale che nessuno finora ha mai neppure provato a smantellare. Così si rischia di trasformare non solo le nostre località turistiche e i centri storici delle città d’arte in ‘dormitori’, privi di servizi per chi vi abita tutto l’anno, ma di desertificare anche le località minori. In Piemonte e a Torino il fenomeno è meno diffuso che in altre zone d’Italia, ma proprio per questo siamo ancora in tempo a intervenire. Non bisogna rassegnarsi a città prive di negozi e di servizi attraversate soltanto dai furgoni delle consegne a domicilio. E dobbiamo puntare su un turismo di qualità, non sul ‘mordi e fuggi’ che arricchisce solo le ‘non imprese’ e apporta poca ricchezza al territorio. È una sfida epocale che soprattutto la politica deve raccogliere”.