Una linea di credito agevolata, un fondo speciale “salva-imprese” per aiutare gli imprenditori che resistono alla catastrofe che sta investendo il mondo del commercio, dell’alloggio e della somministrazione. E’ la proposta lanciata da Confesercenti, e rivolta al Governo, alle associazioni, ai confidi, al sistema bancario, per salvare il salvabile ed aiutare a fermare l’emorragia di imprese di questi settori. Il 2013, come oggi sottolinea il DEF, sarà ancora un anno di grave difficoltà per l’economia in generale, caratterizzato da disoccupazione e fisco record e una contrazione della spesa delle famiglie che per il DEF è dell’1,7% e che secondo le nostre stime porterà a ‘perdere’ 15,6 miliardi di euro di consumi. Una prospettiva che potrebbe essere esiziale soprattutto per il settore del commercio e dei pubblici esercizi: se i trend evidenziati nel primo bimestre 2013 dovessero continuare, alla fine dell’anno perderemmo 86.454 attività commerciali tra negozi, hotel, bar e ristoranti. Con la conseguente e gravissima sparizione, secondo le nostre stime, di 192.600 posti di lavoro, d cui il 73% di imprenditori e collaboratori familiari: 141.000 persone (98mila nel commercio al dettaglio, 43mila tra alberghi e pubblici esercizi), i veri “travolti” della crisi, che non avranno la possibilità di usufruire di nessun ammortizzatore sociale. Per dare le proporzioni della gravità dello scenario, si tratterebbe di un numero complessivo più che doppio rispetto ai circa 90mila lavoratori occupati dalla Fiat in tutta Europa.
Saldo I Trimestre |
Saldo annuale |
Posti di lavoro |
Di cui imprenditori e collaboratori |
|
Distribuzione commerciale* |
-14.674 |
-58.116 |
-110.420 |
98.000 |
Alloggio e somministrazione |
-7.084 |
-28.338 |
-82.180 |
43.000 |
2012-2013, il crollo (eccezionale) del mercato interno: mai così male dal 1970.
Nel corso del 2012, l’emergenza di bilancio ha spinto l’esecutivo ad aumentare in maniera sostanziale la pressione fiscale. Ma la crisi ha innescato un’altra crisi: secondo i calcoli Confesercenti, nel solo 2012 a causa delle tasse e della mancanza di fiducia nelle prospettive dell’Italia, la spesa delle famiglie ha subito un tracollo a prezzi costanti di 36,5 miliardi (-4,3%). Una contrazione che stimiamo continui anche il prossimo anno, sebbene a ritmo meno sostenuto, segnando una diminuzione di circa 15,6 miliardi (-1,9%). In due anni assisteremo quindi ad un crollo della spesa per consumi interni di 52,1 miliardi di euro (-5,5%), la più forte diminuzione dal 1970, data di inizio delle serie storiche, e probabilmente il più grave calo della storia della Repubblica Italiana. Si tratta quindi, chiaramente, di una situazione di emergenza, cui bisogna rispondere come tale.
Ripresa a partire dal 2014. Ma potrebbe essere troppo tardi
Secondo previsioni largamente condivise, il ritorno alla crescita dell’economia italiana arriverà solo a partire dal 2014. Per le imprese del commercio, dell’alloggio e per i pubblici esercizi, però, i benefici di un’eventuale ripresa potrebbero arrivare troppo tardi. Questa, infatti, arriverebbe principalmente dall’export, e potrebbe passare molto tempo prima che essa abbia una ricaduta positiva sul mercato interno: visto il ritmo dell’emorragia delle imprese, l’attesa potrebbe essere fatale. Anche perché la ripresa del mercato interno è sempre più distante, visto che si continuano a drenare risorse alle famiglie: nel 2013 la nuova Tares, l’adeguamento delle addizionali Irpef, l’incremento delle tariffe dei servizi pubblici locali e l’aumento dell’aliquota ordinaria IVA dal 21 al 22%, porteranno famiglie ed imprese a pagare altri 10 miliardi aggiuntivi di imposte. Senza contare la spada di Damocle, pendente sulla testa di cittadini e imprese, di una revisione dei valori catastali che potrebbe far lievitare l’esborso IMU a livelli ben al di sopra di quello attuale.
Il Fondo speciale Salva-Imprese: la proposta Confesercenti per arginare l’emorragia costante
Per evitare il tracollo totale, Confesercenti lancia l’idea di un fondo speciale “salva imprese”, da attivare a seguito di un’intesa tra Governo, Banche, Fondo centrale di garanzia, Comfidi e Associazioni di Categoria, con liquidità provenienti da BCE e destinazione vincolata a favore delle imprese, come già proposto anche da Rete Imprese Italia. Il fondo speciale verrebbe utilizzato per aiutare a resistere gli imprenditori ancora attivi sul mercato attraverso linee di credito agevolate. L’obiettivo è permettere alle imprese in difficoltà per via dell’eccezionale crollo del mercato interno di mantenersi in vita, senza distruggere know-how e investimenti, affrontando con più forza la fase drammatica che stiamo attraversano per poi essere pronte ad una nuova fase di sviluppo. In particolare – spiega Confesercenti – la linea di credito aperta sarebbe disponibile per le aziende in difficoltà che perseguono i seguenti obiettivi:
- ristrutturazione oneri finanziari
- anticipo per liquidità
- investimenti
- ristrutturazione/innovazione, anche per e-commerce
- capitalizzazione
- introduzione/potenziamento tecnologie informatiche per gestione del contante e realizzazione sistemi di cash management.
“L’imprenditore, per definizione, è una persona che si assume dei rischi”, elabora Confesercenti. “Si confronta con il mercato, subisce e fa concorrenza e sa benissimo di poter avere successo o insuccesso. E’ però anche una persona che rischia in proprio, che costruisce l’attività sul proprio lavoro, facendo sacrifici ma creando anche occupazione per gli altri, oltre a stimolare sviluppo, ricerca e innovazione. La sua figura viene magnificata in caso di risultati positivi; ma quando le cose vanno male, si è soliti dire che si tratta della dura legge del mercato. In un momento caratterizzato da un’emergenza mai vissuta dalla nostra Repubblica, come quella del tracollo dei consumi, bisogna attivarsi per arginare le tremende conseguenze che la perdita di quasi 90mila imprese avrebbe sul piano economico e sociale. Quando una grande realtà imprenditoriale va in crisi, tutti cercano di trovare soluzioni per il rilancio e per garantire l’occupazione. Quello che ci chiediamo è: i 190mila lavoratori che potrebbero trovarsi senza occupazione, anche se dispersi in quasi 90mila imprese, valgono meno degli addetti di una grande azienda?