Credo, dice il presidente Confesercenti Genova, ci sia la necessità di definire, in un’ottica di medio-lungo periodo, le priorità per la città
«Quattro marchi, sette strutture e circa 20mila metri quadrati* di nuova superficie di vendita commerciale: uno scenario apocalittico per il piccolo commercio, quello che esce dalla somma di quanto riportato recentemente dai media a proposito delle nuove operazioni immobiliari all’orizzonte a Genova».
Così Massimiliano Spigno, presidente di Confesercenti Genova che aggiunge: «Credo ci sia la necessità di definire veramente, e in un’ottica di medio-lungo periodo, quali siano le priorità per la città. Se si voglia cioè un tessuto urbano sano, vitale e vivibile, o se desideriamo la desertificazione dei quartieri a seguito della chiusura degli esercizi di vicinato, salvo poi piangere lacrime di coccodrillo una volta che il danno è fatto e difficilmente reversibile».
«A questo punto – prosegue Spigno – sarebbe meglio dare vita a degli “Stati generali del Commercio” per definire, con tutti i player e le istituzioni, quali siano davvero i bisogni della popolazione genovese, quali gli spazi disponibili senza stravolgimenti di destinazione d’uso, cosa possa reggere o meno il tessuto esistente e quali piani d’investimento delle varie realtà siano compatibili con questo contesto, piuttosto che continuare a seguire uno stillicidio di varianti urbanistiche dalle alterne fortune e una guerra di posizione all’ultimo metro quadrato, vivendo in balia di interessi particolari anziché del bene collettivo».
«Abbiamo bisogno di fortissimi segnali di discontinuità con il passato – conclude il presidente di Confesercenti Genova – : non vogliamo più insediamenti della grande distribuzione spacciati come la panacea di tutti i mali, dalla valorizzazione dell’immobile pubblico, alla manutenzione dell’impianto sportivo. Proviamo anzitutto a coinvolgere nelle operazioni immobiliari commerciali il tessuto imprenditoriale dell’area, evitando di perdere posti di lavoro “buoni” a favore, nella migliore delle ipotesi, di nuovo precariato. Evitiamo di spegnere altre luci e abbassare altre saracinesche, alimentando un sistema che sa più d’immobiliare, che di imprenditoriale».