“Il segreto? Al centro dev’essere sottile e morbida”
Ecco alcuni dei consigli di Claudio Ospite, presidente dell’Istituto Nazionale della Pizza, presente all’incontro che si è tenuto alla libreria Ubik dal titolo “Pane e pizza, arte e passione”
Le caratteristiche di una buona pizza? Al centro dev’essere sottile e morbida, quando si taglia e si alza uno spicchio per portarselo alla bocca l’angolo centrale deve cadere verso il basso sotto il peso di pomodoro e mozzarella; il cornicione non dev’essere inferiore al centimetro e mezzo (diffidate della moda del “canotto” ovvero pizze con cornicioni enormi…); dev’essere lievitata non meno di 18 ore, si può arrivare anche a 24 ore, ma non credete a chi vi dice che è lievitata 72 ore e quindi è più digeribile perché in quel caso sicuramente è stata messa in frigorifero e non lievitata. L’ideale è la pizza preparata la sera prima per la sera dopo. Le farine devono essere di qualità e ben selezionate. Importante è anche la cottura. Il forno non dev’essere inferiore a 400 gradi e non va infarinata sotto perché quella farina lì viene bruciata e si forma la crosta nera o acrilammide (cancerogena). Non è detto che sia fondamentale il forno a legna. Ultimamente alle pizzerie che aprono non lo fanno installare se non hanno l’abbattitore di fuliggine per motivi ambientali. Anche un buon forno a gas o elettrico può sfornare ottime pizze, dipende da come si preparano.
Questi sono i consigli di Claudio Ospite, presidente dell’Istituto Nazionale della Pizza, presente all’incontro che si è tenuto alla libreria Ubik dal titolo “Pane e pizza, arte e passione”, organizzato da Confesercenti Cesenate all’interno del Festival del Cibo di Strada. Insieme a lui anche Simona Lauri, panificatrice, scrittrice, tecnologa e direttore responsabile di Quotidiemagazine.it, Tullio Galli, direttore nazionale Fiepet (Federazione nazional dei pubblici esercizi di Confesercenti) e Vinceslao Ruccolo, vicepresidente nazionale Fiesa Assopanificatori. Per quanto riguarda il pane si è cercato di fare chiarezza in merito alle numerose “fake” che girano sui Social a proposito del cibo più antico del mondo. Quali? Tipo: il pane fa male e fa gonfiare, bisogna fare solo pane con il lievito madre, sempre più intolleranti al lievito, le farine antiche sono migliori, bisogna mangiare solo integrale.
“Quante sciocchezze si leggono sui social – ha esordito Simona Lauri – e la gente, che non ha più voglia di informarsi veramente, purtroppo ci crede. E molti ci costruiscono un business. Se andiamo a vedere chi scrive queste fake ci accorgiamo che solitamente sono i cosiddetti influencer, ovvero che vogliono influenzare il consumo di un prodotto. Già la parola ci dice che il loro obiettivo è farci credere, ma soprattutto, farci comprare qualcosa di particolare. Il lievito gonfia se viene preparato male il pane. A gonfiare la pancia solitamente sono altri tipi di enzimi, non il lievito. Non esistono intolleranze al lievito, tutt’al più allergie, ma sono rare. Le farine di grani antichi sono da valorizzare, è vero, ma non demonizziamo il nostro grano tipico italiano. Anche perché le farine di grano antico italiane (monococco e farro) sono una piccola nicchia che servono un mercato ridotto. Nemmeno con la produzione totale italiana di grano tenero riusciamo a soddisfare la richiesta del settore. Copriamo solo il 40% circa del totale del pane prodotto in Italia. Il resto dei grani vengono dall’America (manitoba) oppure dai granai dell’Est. Pane con lievito madre? Non tutto il pane viene bene con questo tipo di lievito. Le michette o le rosette, come si chiamano in varie parti d’Italia, per esempio non vogliono la “madre” ma la biga”.
Se il pane è l’alimento mondiale per antonomasia (sono solo gli eschimesi e poche tribù in Africa a non avere il proprio pane tradizionale), la pizza simboleggia l’Italia quasi più del Tricolore eppure, nonostante siano riusciti a farla diventare Patrimonio dell’Unesco, non esiste la categoria del pizzaiolo, non esiste un contratto da pizzaiolo e nemmeno una formazione specifica regolamentata. E’ tutto lasciato al caso e all’improvvisazione. “Ci stiamo battendo affinché si lavori insieme per trovare una formazione omogenea riconosciuta – spiega Tullio Galli – ma non è facile perché è anche una questione politica e l’iter non è così immediato. Anche per tutelare il consumatore è necessario che il pizzaiolo sia una figura formata a dovere e non qualcuno che, avendo qualche soldo da parte, si improvvisa pizzaiolo o gelataio per portare a casa lo stipendio. Il rischio è che nel giro di pochi anni non regga il mercato e sparisca. Purtroppo in questo settore, non a caso, si registra un’altissima mortalità di attività entro i 4 o 5 anni dall’apertura. Un pizzaiolo, infatti, ormai dev’essere considerato un vero imprenditore e un professionista, perché non deve solo saper fare la pizza (che già non è semplice…) ma deve avere molte altre competenze, a partire dalla conoscenza degli alimenti e delle tecnologie”.
Una novità importante è stata raccontata da Vinceslao Ruccolo, panificatore abruzzese da generazioni. “Visto che uno tra i problemi del panettiere è l’orario di lavoro, condizione che non fa avvicinare i giovani a un’antica e bellissima professione, stiamo cercando di introdurre, grazie alle tecnologie, il pane alla carta. Pagnotta non ancora cotta ma lievitata che, messa in frigo, viene mantenuta per una giornata, fino al momento in cui arriva il consumatore e chiede entro 15 minuti il pane scelto. Pane cotto e sfornato fresco al momento (nulla a che fare col surgelato dell’industria). Una novità che potrebbe cambiare i ritmi e il lavoro di panettiere, senza togliere nulla alla freschezza del pane. Anzi, si potrebbe avere pane appena sfornato anche di sera”. In attesa ci possiamo accontentare del buon pane fresco che sfornano i nostri artigiani dell’arte bianca.
Elisabetta Boninsegna
CESENATODAY 07.10.18