Preoccupano le dichiarazioni del ministro Cingolani che mette la carne bovina tra le cause dell’impatto ambientale
Preoccupano le dichiarazioni del Ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani che mette la produzione di carne bovina tra le ragioni all’origine dei problemi legati all’impatto ambientale, indicandola tra le cause principali delle emissioni di anidride carbonica e di spreco di acqua.
Le riflessioni del Ministro sono state rese in diretta alla Conferenza preparatoria della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile lo scorso 3 marzo. Meno carne e più proteine vegetali, la sintesi del suo intervento partito dal concetto di “cobeneficio”: tutti i problemi legati alla sostenibilità sono interconnessi, quindi è importante cercare soluzioni che siano multiple. “Non si può separare l’epidemiologia da quello che mangiamo, dal nostro modello di sviluppo economico.” Per questo motivo, ha criticato fortemente il settore della zootecnia, sottolineando i rischi in termini salutari di un consumo eccessivo di carne. A questo proposito, ha affermato che “sappiamo che chi mangia troppa carne subisce degli impatti sulla salute, allora si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali, d’altro canto la proteina animale richiede 6 volte l’acqua della proteina vegetale, a parità di quantità, e allevamenti intensivi che producono il 20% della CO2. Allora modificando un modello di dieta aumentando le proteine vegetali avremmo un cobeneficio migliorando la salute pubblica, diminuendo l’uso di acqua e producendo meno CO2, è questo un esempio di cobeneficio”
“Sono dichiarazioni tanto preoccupanti quanto prive di un’effettiva validità sul piano dell’operatività delle imprese della filiera zootecnica italiana, dalla stalla alla distribuzione – dice Gianpaolo Angelotti Presidente di Fiesa Assomacellai Confesercenti.
La filiera opera seguendo con rigore la normativa comunitaria e nazionale, che è tra le più virtuose al mondo in materia di benessere animale, dalla produzione al trasporto, dalla lavorazione industriale alla distribuzione, seguendo la rigida normativa igienica e sanitaria. L’Italia è già un paese virtuoso dal punto di vista produttivo e dei consumi di carne. Non si può immaginare che i grandi cambiamenti climatici in atto nel mondo possano essere fermati o combattuti sul territorio e/o nel cielo italiano, come se questo fosse separato dal resto del mondo, dove si continua a produrre e consumare con regole lontane dagli standard europei, sia in termini di sicurezza alimentare che di attenzione alle questioni ambientali e del benessere animale. Le parole del Ministro non fanno onore ai grandi sforzi compiuti dalla filiera italiana ed europea ed equivale a spostare la produzione in altri paesi con danni irreversibili al sistema produttivo interno e all’ambiente stesso, perché significherebbe abbandono delle campagne e delle terre collinari e montane. Le considerazioni del Ministro debbono essere svolte su scala mondiale se si vuole incidere sui processi produttivi. E allora le sedi in cui fare quei ragionamenti su produzione e consumi sono contesti mondiali, come le Nazioni Unite. Farle in Italia è solo controproducente.”
I dati forniti dal Ministro poi – per Fiesa Assomacellai – sulle emissione di CO2 attribuibili agli allevamenti che producono carne non sono in linea con quelli delle statistiche della FAO né con quelle dell’Unione Europea. Secondo queste, se l’intero comparto agricolo a livello mondiale pesa per il 20% del totale delle emissioni di CO2, il comparto zootecnico pesa per circa il 14%. A livello europeo l’incidenza del comparto agricolo sul totale delle emissioni si colloca intorno al 10%. Ancora inferiori sono i dati dell’Italia che vede l’intero comparto agricolo emettere circa il 7.5% del totale delle emissioni di CO2 prodotte dal nostro paese e il comparto zootecnico il 5.2%, di cui meno del 4% imputabile alle filiere delle carni, dati come si vede già assolutamente inferiori a quelli denunciati dal Ministro.
La preoccupazione – per Fiesa Assomacellai – ora riguarda le politiche che il Governo italiano intende fare in materia di Transizione ecologica. Anche per quanto riguarda l’uso delle risorse del Recovery Fund. Premesso che tutti siamo interessati al miglioramento dell’aria e del suolo e alla tutela del mare, e più in generale dell’ambiente, non si risolvono i problemi della Terra spostando i cicli produttivi da una parte all’altra del pianeta. Siamo di fronte a cambiamenti climatici globali che richiedono strategie mondiali. L’Italia e l’Europa hanno già fatto la loro parte. Ora bisogna allineare alle migliori prassi produttive e di consumo gli altri paesi del mondo.