Le professioni del wedding in piazza per chiedere la ripartenza di matrimoni e cerimonie: le testimonianze degli addetti ai lavori e i numeri di una crisi decisa a colpi di dpcm
È un vero e proprio grido di aiuto, quello lanciato oggi da Genova e altre trenta piazze italiane dal coordinamento “Insieme per il wedding”, movimento rappresentativo delle imprese che, a vario titolo, ruotano attorno al settore dei matrimoni e delle cerimonie, da mesi completamente chiuso in seguito alle disposizioni di contenimento epidemiologico in vigore.
«Nel 2020 sono stati annullati l’85% dei matrimoni, alla cui organizzazione avevamo lavorato con fatica e professionalità, ritrovandoci così a dover riprogrammare decine e decine di cerimonie per cercare di tutelare sposi e fornitori», esordisce Ilaria Veggi, wedding planner, organizzatrice della piazza genovese insieme ad Antonella Calomino. «Ora vediamo ripartire le crociere, dove si canta, balla, beve e mangia proprio come ad un matrimonio, e non comprendiamo perché invece a noi non sia concesso ricominciare. Quello che chiediamo è, semplicemente, di poter lavorare, certe di poterlo fare in piena sicurezza, attraverso protocolli rigorosi e linee guida precise».
Scopo principale della manifestazione, totalmente apartitica, è stato appunto quello di chiedere alle istituzioni adeguate rassicurazioni sulla ripresa dell’attività, a partire da una data certa oltre la quale sarà possibile tornare a celebrare i matrimoni, e concrete misure di sostegno economico, proporzionate alle perdite di fatturato patite nell’ultimo anno, essendo stati assolutamente insufficienti gli aiuti stanziati fino ad oggi, compresi quelli previsti dal decreto legge emanato dal nuovo governo lo scorso 22 marzo: «Qualche migliaio di euro non è sufficiente a compensare oltre un anno di crisi e, anche considerando tutti i contributi a fondo perduto arrivati nel 2020, la parte di mancato fatturato che viene coperta è vicina allo zero – denunciano gli organizzatori – L’ulteriore elemosina prevista dall’ultimo decreto, il primo del governo Draghi, non arriverà prima della fine di aprile e, comunque, non è previsto nulla per il primo trimestre del 2021 che, ben lungi dal portare l’auspicata ripresa, ha visto aggravarsi ulteriormente la situazione delle imprese. Di positivo c’è stato solo il superamento dei codici Ateco ma, paradossalmente, l’allargamento della platea dei beneficiari ha evidenziato ancora più chiaramente l’insufficienza delle risorse messe sul tavolo».
Le testimonianze
«Siamo di fronte ad una situazione insostenibile, sia per noi fotografi e videomaker che, naturalmente, per gli sposi a cui non sappiamo più cosa dire – aggiungono Raquel Torralba, referente sul campo della manifestazione di piazza De Ferrari, e la collega Silvia Pompeo –. Da una parte, dobbiamo mantenere strutture e attrezzature, pagare tasse ed affitti e, dall’altra, portare a casa qualcosa da mangiare e sostenere le nostre famiglie. Tutto questo senza avere ricevuto nessun supporto, e senza previsioni certe sulla ripartenza».
«Viviamo alla giornata, in balìa di dpcm che, cambiando continuamente le carte in tavola, non ci permettono nemmeno di pianificare il nostro lavoro: ci aspettiamo di ricevere, finalmente, la stessa attenzione giustamente rivolta ad altri settori in crisi», è la richiesta di Nancy Sanguineti, titolare dell’omonimo negozio di bomboniere attivo da 34 anni.
La mancanza di programmazione, determinata da questo stato di emergenza non più prorogabile, è un problema sentito da tutte le professionalità della filiera: «L’organizzazione di un matrimonio prevede una pianificazione che può durare anche un anno – spiega Maria Paola Conte, titolare dell’omonimo atelier – Dopo mesi di chiusura forzata, ci ritroviamo con un grande assortimento da pagare alle aziende, senza sapere come: e non parlo solo di merci invendute, ma anche di capi già commercializzati e mai del tutto saldati».
Sonia Costanzo e Virginia Corona, dell’atelier “Spose Così”, tornano sul problema dei codici Ateco, che «ha pesantemente penalizzato l’intero comparto fino ad oggi: questo perché i singoli codici di commercianti e artigiani produttori di abiti da sposa e da cerimonia non sono riconducibili al settore wedding e, quindi, molti sono stati esclusi dai ristori».
«Comprendiamo il momento, capiamo le difficoltà e confidiamo nei vaccini, ma non possiamo più convivere con questa incertezza – concludono Laura Mameli e Claudia Atzori, wedding planner –. Il nostro lavoro consiste nel realizzare e regalare sogni, e con i sogni non si scherza».
«Sosteniamo convintamente l’intera la filiera del wedding – dice il presidente di Confesercenti Genova Massimiliano Spigno – uno dei tanti, troppi settori che sono stati dimenticati e che ha assoluta necessità di sostegni concreti, non di palliativi, e soprattutto di certezze per il futuro delle persone e delle imprese, a cominciare da linee guida che ne permettano la ripartenza».
Oltre che a Genova, gli operatori del settore wedding sono scesi in piazza anche a Sanremo e nelle seguenti città: Ascoli Piceno, Asti, Bari, Bergamo, Bologna, Cagliari, Caserta, Catania, Cosenza, Cuneo, Firenze, Lecce, Marsala, Milano, Milazzo, Napoli, Nuoro, Padova, Pescara, Pistoia, Roma, Salerno, Sassari, Taranto, Udine, Venezia, Vicenza, Viterbo.
I numeri del settore: prima e dopo il lockdown
Ad esasperare ancora di più gli addetti ai lavori c’è la consapevolezza che il settore wedding, prima della pandemia, viaggiava a vele spiegate ed è quindi difficile accettare di essere stati messi letteralmente in ginocchio per decreto. Bastano i dati nazionali a rendere l’idea: 67 miliardi di giro d’affari, tra indotto primario e complessivo, prodotti da 90mila tra aziende e partite Iva che impiegano circa un milione di lavoratori regolarmente assunti e 150mila stagionali, con una percentuale di occupazione femminile da record, pari all’83%.
Numeri che, fatalmente, sono crollati nell’ultimo anno di pandemia e di chiusura, costato al comparto, come detto, un calo di fatturato medio dell’85%, diretta conseguenza di una diminuzione dell’80% dei matrimoni religiosi celebrati (dati Istat del 18 febbraio 2021).
Notevole è anche l’importanza che il mondo dei matrimoni riveste per il turismo, se si pensa che, nel solo 2019, i circa 10mila “destination event” realizzati in Italia da clienti privati avevano attratto un milione e mezzo di presenze straniere. Un patrimonio di competenze e professioni capace di dare un importante contributo al Made in Italy e quindi al manifatturiero italiano: un mondo fatto di aziende e fatturati sani, che aspettano solo di poter ripartire.
Gli ultimi dati Istat relativi alla Liguria ci dicono di 4662 matrimoni celebrati nel 2019, di cui 1370 con rito religioso: il wedding genera nella nostra regione un fatturato di circa 2 miliardi e occupa 30mila persone tra lavoratori autonomi e dipendenti diretti e indiretti.