Il Presidente Zucchini: “Una volta ci arrivavano tanti curriculum di lavoratori stagionali come di studenti universitari che cercavano di arrotondare. Adesso niente. Eppure le nostre imprese quando assumono lo fanno con contratti regolari”
Bologna e l’Emilia Romagna vanno verso la zona bianca, ma l’economia legata al commercio e al turismo rischia di non ripartire perché le imprese non trovano personale. È l’allarme lanciato da Confesercenti Bologna che denuncia le grandi difficoltà nell’assunzione del personale che stanno trovando numerose aziende dei settori dei pubblici esercizi, del commercio e dei servizi.
«Con la ripartenza dopo le lunghe chiusure dovute alle misure restrittive imposte dalla pandemia da Covid-19 – rivela ELISA FILIPPINI, Vice Presidente e responsabile settore Commercio di Confesercenti Bologna, gestore di un’attività di produzione e vendita di pasticceria a Casalecchio – molti lavoratori chiamati da aziende del settore del commercio (sia alimentare che non alimentare) pretendono di fare orari da ufficio. Non contemplano i turni di lavoro al sabato o, in certe situazioni, alla domenica. Cercano un lavoro con il week end libero. Succede anche che al lunedì non si ripresentino e mandino un certificato medico per questo o quel malore. C’è poco senso del dovere. La situazione si è complicata anche con l’introduzione del reddito di cittadinanza, o dalla presenza di ammortizzatori sociali come la Naspi (Nuova assicurazione sociale per l’impiego), l’indennità mensile di disoccupazione, o la cassa integrazione. Molte persone che percepiscono queste forme di assistenza rifiutano il lavoro, non rispondono alle chiamate da parte delle imprese o rimandano una decisione a settembre, dopo le ferie estive.
Di contro, arrivano voci di persone che usufruiscono di questi ammortizzatori sociali e che preferiscono arrotondare con lavoretti in nero. Eppure gli stipendi nel commercio non sono poi così bassi. Seguono le tabelle degli accordi sindacali e i lavoratori usufruiscono di 13.a, 14.a e Tfr. Purtroppo, la cultura del lavoro non c’è più. È stato distrutto il senso dell’Articolo 1 della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Un atteggiamento tutto il contrario di quello assunto dai commercianti che passano per evasori e che, invece, pagano sino in fondo una marea di tasse, che non usufruiscono di agevolazioni o sgravi, se non assumendo personale a tempo indeterminato».
Situazione non certo migliore in quello della ricezione alberghiera. «Non si trova più personale ai piani, camerieri, facchini e persino cuochi», racconta PAOLO MAZZA, Presidente AssoHotel Confesercenti Bologna e gestore del Relais Hotel Bellaria di Bologna «Molti di questi lavoratori – aggiunge Mazza – sono in cassa integrazione e pur sapendo che non torneranno mai al proprio lavoro perché l’albergo in cui lavoravano non riaprirà mai più, si accontentano dei sussidi e si rifiutano di lavorare, se non a nero. Fanno fatica a trovare personale anche tante cooperative di pulizie che lavorano per conto di tanti alberghi bolognesi. La maggior parte dei loro ex dipendenti sono stranieri e sono proprio questi che decidono di stare a casa con il reddito di cittadinanza.
A questo punto si deve fare la battaglia al lavoro nero, la battaglia per avere un controllo vero e più stretto anche sul lavoratore e non solo sull’azienda».
«Una volta – conclude MASSIMO ZUCCHINI, Presidente provinciale Confesercenti Bologna e Presidente regionale di Fiepet (Federazione italiana esercenti pubblici e turistici) Confesercenti Emilia Romagna, gestore del Celtic Druid Pub a Bologna – ci arrivavano tanti curriculum di lavoratori stagionali come di studenti universitari che cercavano di arrotondare. Adesso niente. Eppure le nostre imprese quando assumono lo fanno con contratti regolari. Si assiste al fenomeno che le persone chiamate rispondano di essere disposte a lavorare in nero pur di non far saltare i privilegi dell’Isee o di non perdere il reddito cittadinanza o altro sussidio. Vogliamo tutelare le prospettive di lavoro del piccolo commercio e scongiurare il rischio delle grandi catene commerciali che imperversano all’estero».