“Tra il 2010 e il 2014, i Comuni hanno subito tagli per circa 8 miliardi, compensati da aumenti molto accentuati delle tasse locali per conservare l’equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo”. Così la Corte dei Conti nella relazione sulla finanza locale. “Oggi il peso del fisco è ai limiti della compatibilità con le capacità fiscali locali”. “Sul fronte delle entrate – si legge in premessa nella relazione – il radicarsi di un meccanismo distorsivo, per cui il concorso degli Enti locali agli obiettivi di finanza pubblica pesa, in ultima istanza, sul contribuente in termini di aumento della pressione fiscale, trova origine nei pesanti e ripetuti tagli alle risorse statali disposti dalle manovre finanziarie susseguitesi dal 2011, cui fa eco il cronico ritardo nella ricomposizione delle fonti di finanziamento della spesa, necessaria per garantire servizi pubblici efficienti ed economici. Ciò aggrava e rende permanente l’inefficienza delle gestioni, nonostante l’incremento consistente delle entrate proprie (+15,63% rispetto al 2013) che fa crescere l’autonomia finanziaria oltre la soglia del 65% ed assorbe la diminuzione progressiva e costante dei trasferimenti (-27,29%)”.
“Nell’ultimo triennio c’è stato un incremento progressivo della pressione fiscale comunale, passata dai 505,5 euro 2011 ai 618,4 euro pro capite 2014” – sottolinea la Corte dei Conti nella relazione sulla finanza locale. “I livelli massimi di riscossione tributaria si registrano nei Comuni con più di 250mila abitanti, dove arriva a 881,94 euro a testa. La dinamica delle entrate locali, scrivono i magistrati contabili, è dovuta principalmente a “due fenomeni: il deterioramento del quadro economico, con effetti penalizzanti soprattutto sul gettito risultante dalle più ridotte basi imponibili e dalle numerose manovre di risanamento della finanza pubblica, i cui effetti prodotti dal disorganico e talvolta convulso succedersi di interventi sulle fonti di finanziamento degli enti locali hanno determinato forti incertezze nella gestione dei bilanci e nella formulazione delle politiche tributarie territoriali”. A pagare di più, in generale, sono i cittadini che abitano nei Comuni più grandi, da un lato, e in quelli piccoli o piccolissimi, sotto i duemila abitanti. I comuni con popolazione superiore ai 250.000 abitanti complessivamente sono dodici (e da soli rappresentano il 23% della spesa complessiva dei comuni italiani). Nei Comuni tra 60mila e 249mila abitanti la riscossione procapite si attesta a 649,69 euro. Seguono i Comuni della fascia più bassa (da 1 a 1999 abitanti) con 628 euro per abitante, dato “indicativo di come il livello penalizzante della pressione fiscale nei piccoli centri sconti le differenze di base imponibile (e quindi la minore capacità fiscale) che, a fronte delle più che incisive misure correttive sui livelli di disponibilità finanziarie indispensabili a garantire servizi essenziali, hanno determinato una ‘rincorsa’ all’esercizio del massimo sforzo fiscale”. La quota più bassa di riscossione fiscale si registra nei Comuni tra 5 e 10mila abitanti (511,76 euro procapite) e comunque tutte le fasce intermedie si collocano sotto i 600 euro a testa. Guardando alle entrate per ‘macro aree’, la Corte dei Conti osserva infine che “gli anni 2012 e 2014 segnano, in generale, livelli molto elevati di incassi da tributi, con punte particolarmente accentuate nelle Isole, dove il livello raggiunto nel 2014 risulta quasi doppio rispetto al 2011, con un incremento del 93,62%. Le Isole e il Sud sono anche le aree dove maggiore è stata la riduzione dei trasferimenti (rispettivamente -49,5% e -34,6% tra 2011 e 2014)”.