La nota congiunta di Faib, Fegica e Figisc: bonifiche, prezzi e contratti di lavoro, con la riforma è liberi tutti
Un anno e mezzo di annunci che promettono di restituire regole ad un settore intriso di illegalità (tra i 13 e i 15 miliardi di euro sottratti allo Stato ogni anno) e inefficienza (migliaia di impianti fatiscenti, senza servizi e utili solo a riciclare il denaro della criminalità organizzata).
E, al dunque, gli annunci rimangono annunci e persino le Risoluzioni parlamentari Zucconi (FdI), Appendino (M5s) e Peluffo (PD), zeppe di indicazioni che impegnano formalmente il Governo “a dare seguito”, sono trattate peggio che carta straccia.
Quella del Ministro Urso è una controriforma persino peggiore dell’ormai famigerato “cartello del prezzo medio” che, nel frattempo, si riduce alle dimensioni di un QR code (pur sempre inutile ma meno dannoso), giusto per provare inutilmente a salvare la faccia.
E, tuttavia, ciò che risulta gravissimo e intollerabile, è che il provvedimento che doveva finalmente occuparsi dei problemi incancreniti del settore, pagati sulla loro pelle dai lavoratori del settore ed i consumatori che fanno rifornimento tutti i giorni, invece nasconde nella sua pancia una serie di regalie per i furbetti di ogni risma, primi fra tutti i soliti petrolieri che finiscono per accodarsi a quei numerosi operatori che in questi anni hanno approfittato di un settore senza più regole né controlli.
Vuoto pneumatico sulla razionalizzazione della rete più pletorica d’Europa: chiuderemo 8mila impianti -dice Urso- 3mila perché sono fuorilegge (ma allora perché sono ancora aperti?) e gli altri 5mila… come? boh!
Niente per accompagnare la transizione energetica: i nuovi impianti dovranno avere un nuovo prodotto non fossile -dice Urso- ma quanti saranno gli impianti nuovi se la rete va ridotta e, comunque, i 15mila che rimangono che faranno? mah, si vedrà.
Neanche una misera parola sulla dilagante vendita clandestina di carburanti (30% del totale).
Eppure, a ben guardare, su altro il Ministro Urso mostra di avere le idee più chiare.
60mila euro a fondo perduto per i proprietari di ogni impianto che, per chiudere, potrà limitarsi ad una bonifica light (così la chiamano!), vale a dire gettare nei serbatoi interrati un po’ di sabbia e brecciolino e il gioco è fatto: nessuno saprà mai quanto saranno inquinati il terreno e le falde acquifere sottostanti.
Via il cartello -quello sì che serve- che indica ai consumatori la differenza di prezzo tra servito e self service (Antitrust batti un colpo!). Differenza che i petrolieri in questi anni hanno spinto fin oltre i 30 cent/litro, per incassare ingiustamente dai “polli” che ci cascano, miliardi di euro che neanche spettano loro, visto che il servizio viene dato dai gestori a loro spese, a cui vengono lasciati solo 2 cent.
In ultimo, la “chicca” della completa deregolamentazione dei rapporti di lavoro nel settore: via libera all’introduzione dei contratti di appalto, un vero e proprio imbroglio, che tanta prova di sé hanno già saputo offrire altrove in termini di sicurezza, precarizzazione e illegalità, e la trovata “geniale” di una “penale” per i proprietari di impianti che violano le leggi vigenti che impongono la contrattazione collettiva.
Penale che, di fatto, vale come una istigazione a delinquere: non fate accordi per 18 mesi con il sindacato e poi ci pensa una commissione ministeriale (!?) a dirvi come “sanare” cavandosela a buon prezzo!
C’è da chiedersi fin dove si sarebbe spinto il Ministro Urso se le Risoluzioni parlamentari, anche quella presentata dal partito del Presidente del Consiglio, non avessero impegnato il Governo a tutelare la parte contrattuale più debole.
I Gestori, le loro famiglie e le decine di migliaia di loro addetti, oltreché la parte residuale e sana del settore che ancora si batte per le regole, l’equità e l’eticità dei rapporti sapranno come reagire in ogni possibile sede: sulle strade, in Parlamento, nelle aule giudiziarie e persino nelle urne.