VENEZIA. Ha tutta l’ aria di una sfida ai mulini a vento la campagna intrapresa dalla Regione per frenare le aperture domenicali e festive di negozi e centri commerciali. Certo il problema è reale e avvertito, in particolare dai tanti lavoratori -100 mila quelli stimati nel Veneto – che lamentano la sottrazione di tempo “vitale” a famiglia, affetti, riposo, svago. Ma il cammino è tutto in salita, tra la legge di riforma arenata in Parlamento e il veto sostanziale opposto dalla grande distribuzione. Così, il “tavolo etico” convocato a Venezia dagli assessori Roberto Marcato (Economia) e Manuela Lanzarin (Sociale) – e precluso ai giornalisti in barba alla sbandierata trasparenza – sconta il divario tra i buoni propositi e i dettami del “Salva Italia” di Mario Monti che nel 2011 ha sancito la deregulation nel settore consentendo l’ apertura dei negozi in tutte le domeniche dell’ anno e (a scelta) in 6 delle 12 festività “solenni”, inclusi Natale, Capodanno, Pasqua, Primo Maggio. Un macigno niente affato scalfito dalle successive disposizioni regionali – ultima quella approvata dal Friuli-Venezia Giulia e impugnata dal Governo – puntualmente bocciate dalla Corte Costituzionale. «Questa è una battaglia trasversale, chiediamo ai parlamentari veneti di impegnarsi per sbloccare la proposta che da due anni giace in Senato dopo il sì della Camera», le parole di Marcato «ma l’ obiettivo ottimale sarebbe restituire la competenza alle Regioni , capaci di rimodulare la disciplina degli esercizi sul territorio». «Accanto ai dubbi sull’ effettivo valore delle liberalizzazioni, la questione presenta un aspetto etico-sociale perché incide negativamente sulla qualità della vita delle famiglie», fa eco Lanzarin. Visione condivisa da don Enrico Torta, il parroco di Dese paladino dei risparmiatori truffati – «L’ ossessione del guadagno sta distruggendo ogni rapporto e sociale» – e dalla portabandiera del movimento “Domenica no grazie”, Tiziana D’ Andrea: «Basta con le commesse ricattate e sottopagate, per noi l’ unica soluzione accettabile è 6 festività e zero domeniche». Toni analoghi da sindacati e categorie: con Emilio Viafora (Cgil), Maurizia Rizzo (Cisl), Luigino Boscaro (Uil) scettici sui tempi parlamentari e favorevoli ad un accordo territoriale al pari di Maurizio Franceschi (Confesercenti) e Valerio Zanon (Confcommercio): «I tempi sono cambiati, il paese dei balocchi in cui volevano farci credere di vivere non esiste».
Quattro i deputati presenti. Gessica Rostellato e Marco Da Villa del M5S: «Siamo i primi fautori di questa riforma, bloccata per volontà del presidente dem della commissione lavoro»; Michele Mognato (Pd): «Le forze politiche sono divise ma è giusto porre un freno, non solo al lavoro festivo ma anche all’ ossessione del consumo»; e Filippo Busin (Lega): «Sostegno pieno».Fino alla doccia gelata, con l’ intervento di Pierluigi Albanese (Federdistribuzione Veneto) che riassume così la linea dei giganti commerciali: «Noi ci muoviamo nel rigoroso rispetto della legge, le aperture festive hanno consentito un +2% di fatturato non alimentare e un +0,8% nel food, su scala nazionale hanno prodotto 400 milioni di retribuzioni aggiuntive e 4200 nuove assunzioni, per il 55% a tempo determinato part time e per il resto part time nei week end». Si parla di dipendenti costretti a lavorare a ritmi incessanti e compensati in modo inadeguato… «Il festivo è maggiorato del 30% in busta paga e il 40% del personale ci chiede di lavorare. Gli altri? Chi ha sottoscritto un contratto che prevede la chiamata, è tenuto a rispettarlo e chi è a conoscenza di abusi, li denunci alla magistratura del lavoro». Tant’ è. Da Carrefour a Ikea, Federdistribuzione rappresenta il 60% dei big e il suo “no” suona campana a morto sulle chance dell’ iniziativa; sul fronte opposto c’ è solo il Gruppo Unicomm di Marcello Cestaro (Famila, Cash&Carry, A&O, Emisfero) contrario ad alzare le saracinesche nelle festività. Una voce fuori dal coro.
Tratto da il “tribunatreviso.it”