Appena eletta presidente di Confesercenti al posto di Antonio D’ Amore, Simona Petrosillo prende in esame i numeri del commercio e quelli, ancora peggiori, dei pubblici esercizi. Perdita che, in termini di imprese, si aggira attorno all’ 8% e in termini occupazionali di almeno 2mila unità lavorative. Per la Petrosillo si tratta di numeri che raccontano l’ ultimo anno catastrofico della crisi. In particolare, il deficit che evidenzia il settore di bar e ristoranti sarebbe dovuto alla stagionalità della maggior parte delle attività, al fenomeno delle aperture improvvisate che poi non hanno continuità e nel caso di Ostuni (sorprendentemente la perdita peggiore in questo settore), la Città Bianca pagherebbe la perdita del mercato interno. Ma per l’ anno in corso, il presidente Petrosillo si dice convinta che le cose andranno meglio, anzi che proprio questo sia il momento più propizio per investire. Presidente Petrosillo, come vanno letti questi numeri? 804 imprese che si perdono nel 2016 e 2mila disoccupati in più. «Il 2016 è in linea con quanto già avvenuto negli anni precedenti a causa della crisi, è stato un anno orribile anche il 2016 che ha evidenziato un calo importante in particolare nel settore turistico -ricettivo che va dall’ 8% all’ 11% nella ristorazione e nella città capoluogo si registrano le medie più alte». Cosa vuol dire tutto questo? «Dal nostro punto di vista riteniamo che sarà l’ ultimo anno di calo della nostra storia recente. Tutti i dati macro -economici danno segni di ripresa. Quella crisi che ha visto esposti tanti colleghi sta passando, cominceremo a registrare forti riprese». Già, ma come interpreta queste forti perdite? «Credo che abbiano resistito le aziende che hanno investito in formazione, marketing, in assistenza e fidelizzazzione della clientela. Sono questi che hanno dato risultati e continueranno a darne. Credo che da questo momento in poi si possa parlare di ripresa, questo è il momento migliore per investire. Gli spazi liberi sono ora a disposizione di chi c’ è e di chi vuole fare e fare bene». Coglie non poco di sorpresa la perdita di tanti pubblici esercizi anche in luoghi da sempre vocati al turismo. Il -16% di Ostuni appare incomprensibile. «La differenza tra Brindisi e gli altri comuni sta nella stagionalità delle attività. In molti comuni ci sono attività che si aprono solo per la stagione estiva. C’ è gente che fa una stagione, un’ unica stagione, poi non si ritiene soddisfatta e l’ anno dopo non riapre e, a volte, apre qualcun altro». Ma il dato di Ostuni? Come lo interpreta il meno 16%? «Il turismo internazionale è aumentato, ma si tratta di turisti che scelgono le grandi strutture. A calare è il turismo domestico, quello interno, è quello che si fa sentire. L’ economia di Ostuni si basava, per buona parte, sui brindisini che andavano a mangiare lì. Ostuni ha perso il mercato interno e senza il mercato interno l’ export non basta». Quanto pesa la presenza della grande distribuzione su questi dati? «Ha un peso notevole. E anche nella grande distribuzione le cose non vanno bene: c’ è un aumento dei costi, un calo dei servizi già scadenti, una riduzione del personale». Dunque, una situazione della quale può “approfittare” il piccolo commerciante? «La gente sta riscoprendo i centri urbani, i centri storici, il rapporto umano che questi consentono. Da questo punto di vista abbiamo grandi attese e grandi speranze. Anche la Regione Puglia punta su questo con la creazione dei Distretti urbani del commercio. La settimana scorsa decine di amministratori comunali hanno sottoscritto accordi e questi daranno nuova linfa al comparto. Ci vuole una grande professionalità, formazione, confronto per uscire dall’ isolamento che ha caratterizzato gli ultimi 10 anni della nostra economia e che ha decretato la morte della nostra economia». Possibile che duemila disoccupati nel settore commercio non facciano rumore? «Se consideriamo che nel settore turistico abbiamo una media di 3 addetti per ogni attività, purtroppo i numeri sono questi. La ristorazione occupa quasi 9mila persone; nel commercio siamo a 1,7 unità per ogni esercizio commerciale. Abbiamo circa 25mila persone che oggi vivono di questo. In questi anni ci hanno talmente abituato ad inseguire il miraggio della disoccupazione industriale che progressivamente va calando e nessuno sembra essersi accorto che la grande distribuzione ci ha ucciso». E tra poco a Brindisi ce ne sarà un terzo. «Si sta inseguendo il miraggio dei 30 nuovi addetti che il nuovo centro commerciale andrà ad assorbire. Ci rendiamo conto che è come se fossero 6 o 7 bar in più? Stiamo parlando di nulla. Per fortuna che la gente sta già riscoprendo il valore della formazione personale e della qualità». Resta che i licenziati (o disoccupati) nel commercio, non fanno rumore. «E’ assolutamente vero. Faccio un esempio. A Brindisi nell’ ultimo scorcio dell’ anno ha chiuso un’ attività che faceva patate fritte nel silenzio più assoluto, ci lavoravano tre persone che ora sono a casa. Grazie all’ assistenza di Confesercenti, sono contenta che quell’ attività tra poco aprirà di nuovo. Ripartiranno con due persone, ma sono convinta che tra non molto diventeranno quattro. La grande distribuzione ha comportato un appiattimento verso il basso, sono state sottovalutate le professionalità dei nostri giovani». Dunque, che ricadute si aspetta da questo terzo centro commerciale? «Non avrà alcun peso. Si stima che per ogni addetto nella grande distribuzione, si creano 10 disoccupati. Ma questo si inserisce quando già abbiamo due centri commerciali. Quindi, tutto quello che ci aspettiamo è che si facciano la guerra tra loro, a noi il danno lo hanno già fatto».
Tratto da “Quotidiano di Puglia (ed. Brindisi)”