Il presidente Banchieri: “Situazione drammatica, subito interventi di sostegno. Negozi e mercati siano considerati come un settore protetto”
Meno 70% in dieci anni, meno 9% nell’ultimo anno: sono queste le percentuali del calo delle aperture dei negozi in Piemonte certificate dall’ufficio studi di Confesercenti Torino. Caro-vita, rallentamento dei consumi e concorrenza della grande distribuzione e del web non accelerano soltanto le chiusure, ma fanno crollare anche le nuove nascite. È il risultato peggiore degli ultimi dieci anni: nel 2013 le aperture furono 4.581; nel 2023 si riducono a 1380. Il Piemonte, inoltre, fa peggio della media nazionale (-54% nell’ultimo decennio e -8% nell’ultimo anno) piazzandosi primo nella non esaltante classifica delle percentuali di denatalità delle imprese e secondo in numeri assoluti (-3.201), superato soltanto dalla Campania.
“Si tratta – dice Giancarlo Banchieri, presidente di Confesercenti Piemonte – di numeri drammatici e soprattutto di una tendenza che pare non avere fine: secondo le nostre proiezioni, in assenza di interventi, nel 2030 le aperture in Piemonte potrebbero ridursi a poco meno di 1.000. Neppure durante la pandemia si era arrivati a tanto. Stiamo assistendo a una vera a propria desertificazione commerciale nell’indifferenza del governo e della politica più in generale. Questo impoverimento rappresenta un problema non soltanto per le categorie coinvolte, ma riguarda tutti: senza commercio di vicinato saranno più poveri anche vie e quartieri per vivibilità, coesione sociale e sicurezza, oltre che per possibilità di scelta e livello di servizi offerti ai consumatori”.
Fra i settori maggiormente in sofferenza e per i quali si registra una percentuale maggiore del 70% in termini di diminuzione delle aperture vi sono i negozi di articoli da regalo e per fumatori, le stazioni di servizio carburanti, le edicole, i negozi di abbigliamento e calzature. Questa situazione non poteva non ripercuotersi negativamente anche su chi intermedia merci e servizi: il comparto degli agenti e dei rappresentanti di commercio ha visto ridursi il ritmo delle aperture di oltre la metà.
Neppure l’ambulantato è esente dalla crisi: anzi, per esso c’è stato un elemento negativo in più: La situazione dei mercati, purtroppo, appare compromessa dai dieci anni di incertezza innescati dalla questione Bolkestein (cioè il rinnovo delle concessioni dei posti) che ha fatto sentire il comparto abbandonato a sé stesso e ha frenato gli investimenti, causando la chiusura di migliaia di imprese e il depotenziamento dell’offerta. Anche per questo, a fine 2023 rispetto al 2022 le nuove aperture dovrebbero essere meno di 300: nel 2013 furono quasi quattro volte tanto.
“Aprire una nuova attività – conclude Banchieri – è sempre più difficile e meno attraente per i giovani. E una parte di coloro che continuano a svolgere questa attività lo fanno perché non hanno alternative e attendono soltanto la pensione. Serve, quindi, un pacchetto di misure per sostenere i piccoli esercizi commerciali: noi proponiamo da tempo decontribuzione per i giovani che avviano una nuova attività commerciale e un regime fiscale di vantaggio per le imprese sotto i 400mila euro di fatturato annuo, magari da legare ad obblighi di formazione. Se davvero si vede come irrinunciabile la rete dei negozi e dei mercati, la si consideri un ‘settore protetto’ come la Ue da anni fa con l’agricoltura: i fondi europei devono prendere la direzione anche del piccolo commercio. E soprattutto diventa sempre più urgente una legislazione comunitaria che metta fine agli inaccettabili privilegi di cui godono le grandi piattaforme del web“.