Nel 1° semestre 2014 in Emilia Romagna in un quadro di preoccupante stagnazione del settore; tutti i dati suddivisi a livello provinciale
Secondo il rapporto dell’Osservatorio Confesercenti sulla natimortalità delle imprese del commercio e del turismo nel 1° semestre 2014 in Emilia Romagna le nuove aperture sono state 2.298 e le cessazioni ammontano a ben 4.129 unità con un saldo negativo di ben 1.831 imprese. Il trend è in lieve rallentamento rispetto ai primi quattro mesi dell’anno (ma diminuiscono proporzionalmente sia le nuove aperture che le cessazioni), quindi sia nel commercio al dettaglio che nel turismo il dato complessivo resta negativo e per ogni impresa che nasce ne chiudono due; in sostanza in questa prima metà del 2014 hanno chiuso in regione 23 imprese al giorno (di cui 9 nel commercio, 7 nel turismo e le rimanenti nel commercio ambulante e negli intermediari).
Flessioni si registrano in tutti i comparti considerati: nel commercio al dettaglio a fronte di 789 iscrizioni si sono registrate 1.651 cessazioni (saldo -862), nel turismo e ristorazione, fino a pochissimi anni fa i settori più dinamici di tutto il comparto, ci sono state 603 iscrizioni e ben 1.208 cessazioni (saldo -605) e così dicasi per il commercio ambulante con 202 iscrizioni e 317 cancellazioni (saldo -115) e per gli intermediari del commercio 704 iscrizioni e 953 cancellazioni (saldo -249).
“Occorre prendere atto con preoccupazione che alcuni trend rischiano di assumere un carattere strutturale– sostiene Stefano Bollettinari, direttore di Confesercenti Emilia Romagna –e ciò riguarda sia la consistenza dell’offerta con la flessione del numero di imprese, sia l’andamento in calo delle vendite al dettaglio.
Il mercato si sta quindi riposizionando in un quadro di stagnazione dell’economia, ma a livelli sensibilmente più bassi rispetto a quelli pre-crisi.
Non bisogna però in alcun modo rassegnarsi a questa situazione – prosegue Bollettinari – ma perseguire una strategia di riforme strutturali che incidano nei fondamentali dell’economia e nella competitività del sistema Paese e che in particolare riguardino una riduzione significativa della pressione fiscale, della spesa pubblica e della burocrazia, se vogliamo veramente ridare capacità di investimento alle imprese, rilanciare la domanda interna e attivare la ripresa economica”.