Confesercenti Reggio Calabria: RdC e difficoltà nel trovare personale

l di là delle analisi sociologiche e antropologiche che pur servono, tra i motivi principali della difficoltà per le aziende nel trovare personale, c’è il Reddito di Cittadinanza

La difficoltà di trovare personale da parte delle aziende è un fenomeno nazionale che, però, balza maggiormente all’occhio quando ciò avviene in un territorio come quello di Reggio Calabria che ha una percentuale di disoccupazione tra le più alte d’Europa.

Un controsenso quindi, almeno così parrebbe a una prima occhiata: com’è possibile che in una provincia con un tasso di disoccupazione così alto non si trovi personale?
La risposta è ovviamente complessa, non c’è un unico motivo ma, probabilmente, uno predominante si. E in questo caso ci vengono in aiuto i numeri.

I dati Istat aggiornati al 2021 ci dicono che le persone in cerca di occupazione nell’area metropolitana di Reggio Calabria sono 27.000. Un numero rilevante, ben maggiore della richiesta che proviene dal mercato. E allora?

Verifichiamo i numeri dell’Inps (anch’essi aggiornati al 2021) per ciò che concerne i percettori del reddito di cittadinanza. Sono 21.635 nuclei familiari per un totale di 52.609 persone coinvolte. Il reddito medio percepito è di 574,32 euro la tal cosa ci porta a desumere che, probabilmente, più della metà dei percettori arriva a prendere il massimo, 780 euro.

Quindi, al di là delle analisi sociologiche e antropologiche che pur servono, questi numeri forniscono una prima chiara risposta: tra i motivi principali della difficoltà per le aziende nel trovare personale, c’è il Reddito di Cittadinanza.

Una misura di equità sociale che noi approviamo incondizionatamente negli obiettivi e nei principi, sia chiaro, ma non nella sua applicazione pratica dato che, da azione di sostegno e stimolo per riuscire a trovare occupazione si è trasformata, di fatto, nell’ennesima elemosina che nulla risolve a livello di sistema ma che, anzi, ostacola invece di agevolare il mercato del lavoro.

Perché se nella teoria i paletti previsti dalla norma avrebbero dovuto incentivare la ricerca di un posto di lavoro in pratica essi non sono attuati. I tre rifiuti previsti dopo i quali si decadrebbe dal beneficio sono una barzelletta dato che, se un imprenditore si rivolge ai Centri per l’Impiego, gli vengono forniti dei nominativi che lui stesso deve contattare i quali possono tranquillamente rifiutare l’offerta senza che nessuno ne prenda nota.

Un esempio? Una nota imprenditrice, nostra dirigente, ha richiesto una figura specifica da assumere con contratto a tempo indeterminato. Il centro per l’impiego gli ha inviato 60 nominativi da contattare. Di questi 54 hanno immediatamente rifiutato senza nemmeno chiedere di che lavoro si trattasse, che tipo di azienda fosse e la tipologia di contratto. Gli altri 6 hanno solo chiesto qual era la mansione da svolgere e anch’essi, una volta saputala, hanno rifiutato (senza chiedere notizie sullo stipendio). Su 60 persone 60 dinieghi. Che ovviamente sotto il profilo formale non risultano da nessuna parte.

Ed allora, operiamo una buona volta affinché i centri per l’impiego divengano realmente operativi e forniamo ai “navigator”, altra figura mitologica di cui non si capisce bene il ruolo, gli strumenti per operare rendendo esecutive, inoltre, tutte le norme di controllo previste apportando ove necessario i dovuti aggiustamenti.

Facciamo si che questa misura assolva realmente il compito per cui è nata: sostenere chi ha un reddito insufficiente istradandolo nel mondo del lavoro, garantendo al contempo i diritti ai lavoratori e alle imprese. Altrimenti, continuando così, il Reddito di Cittadinanza da strumento di supporto e sviluppo si ridurrà ad un costosissimo sistema di welfare dal quale difficilmente una volta entrati si potrà o vorrà uscire con il risultato che, l’unico lavoro che incentiverà, sarà quello “in nero”.

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