Il Presidente Banchieri: “Sempre maggiori le difficoltà a pagare fornitori, affitti e bollette. Una sola categoria non può farsi carico dei problemi dell’intero Paese”
Un terzo dei bar e dei ristoranti di Torino non aprirà neppure in questi cinque giorni di zona gialla: è questa la valutazione di Confesercenti dopo un’indagine svolta fra le imprese della somministrazione della città.
“Non è sorprendente – dice Giancarlo Banchieri, presidente di Confesercenti – che una parte significativa dei locali continui a rimanere chiusa, e chi apre lo fa essenzialmente per mantenere un legame con la clientela e per avere quel minimo di liquidità che consenta di fare fronte agli impegni più urgenti. D’altra parte, una prima ricognizione fra i locali che hanno riaperto non è confortante: praticamente tutti gli operatori interpellati parlano di una mattinata e di una pausa pranzo molto deludenti, con una attività ridotta al 30% e talmente sotto tono da non coprire neppure i costi. Non dimentichiamoci che lo smart working continua per tantissimi lavoratori.
“Purtroppo – continua Banchieri – siamo al punto che una parte di chi non apre non può permettersi di farlo perché non è in grado di pagare i fornitori, i quali ormai vogliono essere saldati alla consegna; molti hanno smesso di pagare affitti e stanno incominciando ad arrivare gli sfratti; le bollette di luce e gas rimangono inevase; ci vengono segnalati diversi casi di baristi che hanno riconsegnato la macchina del caffè perché non riapriranno più.
“In queste condizioni l’ipotizzato blocco dell’asporto ha il sapore di un inutile e incomprensibile accanimento: è davvero questo che fa la differenza nella lotta alla pandemia? Se non si riescono a fare controlli adeguati sugli assembramenti, allora si scaricano queste difficoltà sui locali? Nonostante non fosse sufficiente a recuperare quanto perso con le restrizioni, in questi mesi l’asporto ha permesso a molte attività di galleggiare. Al di là del valore economico, il divieto di asporto rischia anche di avere un impatto psicologico sugli imprenditori, che si vedono privati di quel poco di attività che era loro rimasta. E a questo si aggiunge l’ipotesi – che è
qualcosa di più di un’ipotesi – di nuove e più severe chiusure. Ma l’emergenza economica del settore è già ora insostenibile. Riproporre le restrizioni e introdurne di nuove significa dire dare il colpo di grazia alle imprese.
“La verità è che si è scelto di sacrificare il settore al bene comune, ritenendo – secondo noi a torto – di garantire in questo modo la salute e la sicurezza di tutti. Comunque sia, una piccola parte del Paese si sta facendo carico di una grande parte del peso economico della pandemia. Questa scelta, però, non è stata accompagnata da una politica di sostegno vero alle imprese. Adesso bisogna cambiare tutto, perché moltissime attività sono vicine a superare il punto di non ritorno. Servono ristori adeguati: 3 o 4mila euro a impresa – per giunta erogati con grande ritardo – non possono bastare. Se il governo pensa che bar e ristoranti vadano chiusi, garantisca sostegni consistenti a imprenditori e lavoratori e paghi direttamente le spese fisse, dalle bollette agli affitti. A proposito: nonostante il trionfalistico comunicato stampa diffuso dell’Agenzia dell’Entrate, i ristori del decreto Natale non sono ancora arrivati”.