‘Fisco federale penalizza Mezzogiorno’
“La forza trainante sulla pressione fiscale complessiva, passata dal 38 al 44%, appare imputabile per oltre i 4/5 alle entrate locali. La quota di queste su quelle della pubblica amministrazione si è più che triplicata (dal 5,5% al 15,9%)”. Lo ha affermato il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri nel corso di una audizione in Parlamento riferendosi al periodo 1990-2012.
“Nell’attuazione del federalismo fiscale si è verificata “una mancanza di coordinamento fra prelievo centrale e locale, sconfinata nell’aumento della pressione fiscale complessiva a causa di una sorta di effetto combinato: lo Stato centrale che taglia i trasferimenti ma lascia invariato il prelievo di sua competenza, gli enti territoriali che, per sopperire ai tagli dei trasferimenti, aumentano le aliquote dei propri tributi, a volte anche più dell’occorrente” – ha spiegato Squitieri.
Contemporaneamente, secondo la Corte dei Conti, le misure di aggiustamento e di taglio alla spesa per fronteggiare la crisi finanziaria dello Stato hanno inciso drasticamente sui bilanci del sistema delle autonomie. La dimensione complessiva delle misure di riduzione di spesa assunte nei confronti degli enti locali a partire dal 2009 ha raggiunto nel 2012 i 31 miliardi, di cui 16 miliardi quale effetto di misure di inasprimento del Patto di stabilità interno e di oltre 15 miliardi di tagli nei trasferimenti.
“Il ricorso alla leva fiscale è molto differenziato sul territorio con una ‘regola distorsiva’ che penalizza i territori con redditi medi più bassi ed economie in affanno”, ha aggiunto Squitieri in Parlamento – evidenziando che Irap e addizionali Irpef ”sono mediamente più alte nel Mezzogiorno”.