Nell’indagine anche il rapporto con la pubblica amministrazione, mercato del lavoro, formazione e prospettive
Quando vanno in banca per un finanziamento, spesso preferiscono affidarsi al fai-da-te piuttosto che a commercialisti o associazioni di categoria, trovandosi così spuntate di fronte agli istituti di credito. Ma tutto sommato hanno retto di fronte alla crisi meglio delle loro sorelle maggiori, e questo anche se ancora stenta a farsi sentire l’effetto del Jobs Act, mentre la percezione della corruzione rimane elevata. È questo il ritratto delle piccole e medie imprese liguri che emerge dall’indagine condotta dal Cescot, ente di formazione di Confesercenti, su un campione di 333 attività che vanno da un minimo di 5 ad un massimo di 60 dipendenti intervistate tra gennaio e marzo di quest’anno.
Il report è stato presentato oggi all’NH Hotel Marina del Porto Antico di Genova dal direttore del Cescot Massimo Vergassola, ed è servito ad introdurre il primo incontro tra i candidati alla presidenza della Regione Liguria, che Confesercenti ha organizzato insieme all’Ente bilaterale del terziario che unisce l’associazione datoriale e le rappresentanze sindacali di Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil.
Credito e patrimonio, lavoro e fabbisogni formativi, burocrazia e corruzione sono le tre macro-aree sulle quali si è soffermato, quest’anno, l’interesse degli analisti Confesercenti, che hanno scandagliato i comportamenti delle imprese negli ultimi tre anni: dal 2012 a oggi solo il 50% delle pmi intervistate è ricorsa al credito bancario e, tra queste, appena il 41% ha richiesto un finanziamento per nuovi investimenti, mentre la maggior parte lo ha fatto per esigenze di liquidità. Colpisce, però, che addirittura il 74% degli imprenditori sia andato in banca da solo – senza affidarsi, cioè, alla consulenza di un commercialista (8%), di un confidi o comunque di un’associazione di categoria (15%) – e che appena il 25% delle imprese si sia dotato di un business plan (percentuale che scende addirittura al 13% se consideriamo le imprese che non solo hanno un piano, ma che in effetti ne tengono anche in conto). Quanto all’altra metà del cielo – e cioè il 50% di aziende medio-piccole che non si sono rivolte al sistema creditizio – il dato confortante è che solo nel 23% dei casi sia stata la banca a negare il finanziamento, mentre il 18% ha investito denaro proprio, il 14% ha risolto i propri problemi pagando i debiti in ritardo ed il 45%, semplicemente, non ne ha avuto bisogno.
A prescindere dall’esigenza o meno di liquidità, l’indagine Cescot fotografa un quadro sostanzialmente stabile per quanto riguarda la tenuta occupazionale delle pmi: negli ultimi tre anni, infatti, il numero di dipendenti impiegati è rimasto invariato nel 72% delle aziende, è diminuito nel 19% e aumentato nel 9% dei casi. Stabilità che permane anche quando si chiede agli imprenditori quali siano le loro intenzioni nel breve periodo: l’85% pensa infatti che manterrà inalterato il numero di dipendenti nel 2015-16, ma se non altro in questo caso i datori di lavoro intenzionati ad assumere (9%) superano, seppur di poco, quelli che invece prevedono tagli al personale (6%). Nell’epoca del lavoro sempre più flessibile e precario, poi, le pmi liguri sembrano essere ancora un porto sicuro per i loro dipendenti: il 74% infatti è assunto con un contratto a tempo indeterminato, contro un 25% a termine, un 21% in apprendistato ed un 16% con contratto a chiamata. D’altra parte, peculiarità della piccola impresa è quella di ruotare attorno al nucleo familiare, al quale appartiene il 59% dei collaboratori strutturali.
I dati meno incoraggianti sono, invece, quelli che riguardano la conoscenza delle novità in materia di politiche del lavoro, bisogni formativi, impatto della burocrazia e livello di corruzione percepita. Se infatti è tutto sommato comprensibile che le modifiche introdotte dal Jobs Act, varato da pochi mesi, siano note soltanto al 36% degli intervistati, colpisce che il progetto Garanzia Giovani sia ignoto addirittura all’84% delle imprese e che, tra quante ne hanno invece sentito parlare, le misure più interessanti siano esclusivamente quelle legate ai tirocini. La stessa formazione, poi, continua ad essere considerata un’esigenza solo da una minoranza – il 41% del campione – e anche chi prevede degli aggiornamenti per sé o per i propri dipendenti nei prossimi due anni, lo farà soprattutto in materia di sicurezza e igiene (36%), mentre informatica (26%), marketing (26%), lingue straniere (24%), contabilità e gestione (14%) e credito (7%) occupano un gradino inferiore nella scala delle priorità.
In altre parole, invece che un’opportunità di crescita, la formazione continua ad essere percepita prevalentemente come un obbligo da adempiere. E questo ci porta direttamente ad un altro punto saliente della ricerca Cescot: il sempre complicato rapporto tra impresa e burocrazia. Il 28% degli intervistati dichiara di dedicare tra il 26 e il 40% del proprio lavoro a questo genere di adempimenti, ma c’è addirittura una fetta non trascurabile di imprenditori (il 10%) che passa più del 40% del proprio tempo sulle scartoffie. Cifre in virtù delle quali la burocrazia, giudicata eccessiva dal 41% delle imprese, è al terzo posto nella poco invidiabile classifica dei fattori che più incidono sulla difficoltà di ripresa economica, seconda solo ad un costo del lavoro che rimane ancora troppo elevato per il 47% delle imprese e dal peso di tasse e imposte, citate dal 65% degli intervistati (in questo caso il questionario prevedeva la possibilità di offrire più risposte).
Tra i maggiori freni allo sviluppo del sistema-paese, naturalmente, c’è anche (se non soprattutto) la corruzione, fenomeno che tuttavia è difficilmente quantificabile, e per il quale generalmente ci si affida al livello percepito: ebbene, in una scala da 1 a 10, il livello medio di corruzione che emerge dalle risposte degli imprenditori liguri si attesta a 7,8. Però “solo” il 23% dichiara di avere subito, negli ultimi tre anni, tentativi di estorsione da parte di pubblici ufficiali o funzionari. Comunque, quasi un’impresa su quattro.
Ma quale futuro si aspettano, in sostanza, le pmi della nostra regione? Il 29% del campione si dice fiducioso già per il 2015, dato che si combina con un 14% di ottimisti per un 43% totale di segno positivo, a cui si contrappone un 41% che ancora vede nero ed è abbastanza equamente diviso tra un 21% di rassegnati ed un 19% di pessimisti. Per un bicchiere che, quindi, continua ad essere mezzo pieno e mezzo vuoto.