Tosi: “Norma da rivedere, gravi implicazioni sull’occupazione delle realtà locali”. Autogol anche per i Comuni: possibile un danno erariale di 210 milioni”.
“La tutela dei beni culturali è attività legittima e doverosa; ma interpretarla come un’occasione per contrastare “l’esercizio del commercio al dettaglio” su suolo pubblico non è solo una forzatura illiberale, ma anche un intervento controproducente: il decreto cultura, così come è formulato, non tocca l’abusivismo, vera piaga delle nostre città; ma mette a rischio 75mila imprese tra pubblici esercizi e attività di commercio su area pubblica. Un colpo gravissimo all’economia turistica italiana, che avrà conseguenze sia sull’occupazione (157mila posti di lavoro potrebbero essere improvvisamente cancellati) sia sul gettito fiscale generato dalle imprese dei settori coinvolti (-210miloni di euro)”. Della norma si è discusso nel corso dell’incontro fra il sindaco di Verona Flavio Tosi e la delegazione della Confesercenti guidata dal Presidente Marco Venturi e composta dal Segretario Generale Mauro Bussoni, dal Presidente di Anva Maurizio Innocenti e dal direttore nazionale di Fiepet Tullio Galli e del coordinatore nazionale di Anva Adriano Ciolli. Si è convenuto in primo luogo che l’Anci debba essere investita del problema e la Confesercenti a tale proposito assumerà nei prossimi giorni una iniziativa. Il Sindaco Tosi ha criticato il metodo con il quale si è pervenuti alla norma, in quanto non ha coinvolto le categorie interessate, come pure era necessario per le forti implicazioni che essa ha sulle attività economiche e sull’occupazione delle realtà locali. Tosi ha informato anche della iniziativa presa nei confronti dei parlamentari della Lega affinché sia proposto un emendamento nel disegno di legge sulla semplificazione per modificare la norma.
Tab. 1 possibili effetti del decreto cultura sulle imprese del commercio su area pubblica
Settore di attività |
Imprese |
Posti di lavoro |
Attività commerciali su suolo pubblico |
-45.000 |
-67.000 |
Pubblici esercizi |
-30.000 |
-90.000 |
TOTALE |
-75.000 |
-157.000 |
Fonte: Stima Confesercenti
In occasione dell’incontro con il sindaco di Verona Flavio Tosi, avvenuto oggi presso la sede nazionale di Roma, Confesercenti lancia l’allarme: l’articolo quattro del decreto Cultura rischia di trasformarsi in un’ecatombe non solo per gli ambulanti, ma anche per i bar e i ristoranti dei nostri centri storici. La norma demanda infatti alle Direzioni regionali per i beni culturali e alle soprintendenze di “contrastare l’esercizio di attività commerciali e artigianali” che occupano suolo pubblico, anche se da anni e con regolare licenza. Una presa di posizione inaccettabile, una forzatura che colpisce proprio quello che finge di tutelare: il turismo delle nostre città. Perché i bar e i ristoranti delle piazze dei nostri centri storici, così come le attività di commercio su area pubblica in prossimità dei nostri monumenti, offrono servizi essenziali ai turisti e costituiscono un anello indispensabile della filiera che trasforma in valore aggiunto i flussi di visitatori esteri che arrivano nel nostro Paese.
Pubblici Esercizi: il Governo rincara la crisi già in atto, possibile riduzione del 40% del fatturato
L’eventuale restrizione dell’uso di spazi esterni nei centri storici potrebbe essere fatale per i bar e i ristoranti delle nostre città. Ne sarebbe coinvolto circa il 30% dei pubblici esercizi italiani, per un totale di 100mila imprese, che si troverebbero improvvisamente a fronteggiare riduzioni molto consistenti del fatturato, fino al 40% del totale, mettendo a rischio di chiusura 30.000 attività. Una stretta insostenibile per gli imprenditori, che si troverebbero costretti a ridurre notevolmente il personale o addirittura a chiudere, e che arriva in uno dei periodi più difficili del settore. Da gennaio ad agosto 2013, infatti, hanno già cessato l’attività 18mila imprese attive nel settore dell’alloggio e della ristorazione.
“Con questa norma il Governo non solo infierisce sui fatturati di un settore già messo a dura prova dal crollo dei consumi e dal boom delle tasse; mette addirittura in discussione lo stesso appeal che l’Italia esercita sui visitatori esteri”, spiega Esmeralda Giampaoli, presidente di Fiepet, l’associazione di categoria dei pubblici esercizi di Confesercenti. “Il nostro Paese è ancora al primo posto per il gradimento da parte degli stranieri sull’enogastronomia, giustamente vista come un’eccellenza culturale italiana. I pubblici esercizi dei nostri centri storici non offrono solo servizi, ma sono parte integrante dell’esperienza che cercano i turisti: prendere un caffè a Piazza San Marco a Venezia o mangiare un piatto di spaghetti di fronte al Colosseo permette di vivere l’Italian Style, almeno per un attimo”.
Commercio su aree pubbliche, si colpisce uno dei pochi settori che ha saputo resistere alla crisi
Il provvedimento appare particolarmente dannoso soprattutto per le attività commerciali su area pubblica. Secondo le stime di Confesercenti, il decreto cultura potrebbe far sparire il 25% circa delle imprese del settore, portando alla disoccupazione di titolari e collaboratori. Il provvedimento appare ancora più irragionevole se si considera che i camion bar e le altre forme di vendita su posteggio costituiscono l’unico settore del commercio al dettaglio che ha saputo resistere alla crisi. Alla grave emorragia del commercio in sede fissa, infatti, è corrisposta una relativa vitalità degli esercizi su area pubblica, che dall’inizio del 2013 registrano 1.972 imprese in più. Rispetto al numero di aziende rilevate ad agosto 2012, il numero di imprese nel comparto è aumentato in un anno di 6.396 unità, mentre per il commercio in sede fissa si è assistito a una diminuzione di 4.800 imprese. “Chi ha costruito i monumenti italiani, lo ha fatto per farli vivere: stabiliamo regole su come occupare questi posti, non ci accaniamo inutilmente sulle imprese. Così com’è il decreto cultura rischia di cancellare tutte le attività su area pubblica, dall’ambulantato ai dehors, lasciando spazi enormi all’abusivismo che invece dovrebbe essere l’oggetto dell’intervento. Insieme a migliaia di imprese sane e in regola con il fisco, il decreto cultura potrebbe inoltre far sparire i numerosi mercati storici che rendono vive le piazza d’Italia da prima che l’Italia stessa esistesse”, aggiunge Maurizio Innocenti, Presidente di ANVA, l’associazione di categoria Confesercenti del commercio su area pubblica. “Penso a realtà come quella del mercato di San Lorenzo a Firenze, che ha circa 1600 anni, o a Campo De’Fiori a Roma e Ballarò a Palermo. Mercati che non solo forniscono un servizio di vicinato insostituibile per i cittadini, ma che costituiscono vere e proprie attrazioni turistiche, in grado di richiamare ogni anno migliaia di visitatori”.
Un danno anche per i comuni: possibili 210 milioni di euro di mancato gettito tra occupazione suolo pubblico e tariffe per i rifiuti
Ma a rischiare non sono solo i dettaglianti e i pubblici esercizi: il decreto cultura mette in forse anche una parte cospicua dei gettiti dei comuni. L’applicazione delle nuove norme potrebbe depennare in solo colpo dai bilanci dei comuni il 30% dei proventi derivati dalle tariffe per l’occupazione del suolo pubblico e causare una restrizione dei gettiti TARSU/TARI/TARES: secondo le stime Confesercenti, il mancato gettito potrebbe arrivare a 210 milioni di euro.
Tab. 2 Possibili effetti sul gettito del decreto cultura
Imposta | Gettito perso |
Occupazione suolo pubblico | -60.000.000 |
Tarsu/Tari/Tares | -150.000.000 |
TOTALE | -210.000.000 |
Fonte: Stima Confesercenti
Confesercenti: “Gli strumenti di tutela esistono già, lasciamo le competenze ai comuni”
“La direttiva non ha ragione d’essere, visto che soprintendenze e comuni dispongono già di ogni strumento per tutelare i beni architettonici, artistici e paesaggistici italiani”. Così Confesercenti commenta gli effetti del provvedimento. “Il grave inasprimento voluto dal legislatore nel decreto cultura non ci aiuterà a conservare meglio il nostro patrimonio artistico, ma avrà un effetto devastante non solo sul commercio su area pubblica e sui pubblici esercizi, ma su tutta l’economia turistica italiana, impendendo di offrire i servizi commerciali di base ai flussi turistici e limitandone la ricaduta positiva sul tessuto economico italiano. Bisogna rivedere la norma e riportare le competenze ai Comuni, che hanno il polso reale della situazione e meglio conoscono il valore delle attività commerciali delle nostre città. E magari dare loro qualche strumento in più per combattere il vero problema: l’abusivismo”.