Fase due: Fismo Confesercenti, no ad obbligo di sanificazione dei vestiti

 “Già bruciato un quarto dei fatturati, basta ostacoli alla ripresa”

La ripartenza? Per le imprese è sempre più un percorso ad ostacoli. L’ultimo arriva dalla Sardegna, dove il Governatore ha imposto l’obbligo di sanificare i capi provati dai clienti. Un obbligo a sostegno del quale non si porta alcuna prova scientifica e che infatti non è stato mai previsto da disposizioni dell’amministrazione centrale. E che rischia di rovinare i prodotti e aumentare i costi per i consumatori e per le imprese. Così Fismo Confesercenti.

Sanificare un indumento vuol dire trasformare un capo nuovo in usato, probabilmente frutto della fantasia di solerti burocrati, vista l’assenza di studi medici che stabiliscano la trasmissibilità del virus attraverso gli indumenti. A lasciare ancora più allibiti è il fatto che l’obbligo si applichi solo ai negozi: il commercio online ne è totalmente escluso, nonostante moltissimi siti offrano ormai la possibilità di provare l’abito e, in caso, rispedirlo al mittente, e tutti siano obbligati a recepire le restituzioni di materiale come previsto dal diritto di recesso.

“La voglia di ripartire degli imprenditori è fortissima, ma si scontra con troppe complicazioni”, commenta Fabio Tinti, Presidente nazionale di Confesercenti. “La burocrazia dei protocolli vale ovviamente, solo per i negozi, già messi in pesante crisi dal lockdown. Dall’analisi condotta da Fismo sul retail italiano, il comparto è destinato a perdere in un anno fino al 25% del fatturato, mentre verosimilmente si ipotizza una crescita del 20% del mercato on-line, che penalizzerà ulteriormente i negozi fisici, costretti ad abbassare le saracinesche per sempre. Secondo le nostre stime, sono già a rischio di chiusura definitiva almeno 15mila negozi di moda. Bisogna eliminare gli ostacoli alla ripartenza, non aggiungerne altri. Servono norme centrali, e concordate, per garantire la riavvio dell’attività”.

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