Fipac: “Necessario affrontare il nodo dell’incapienza e sbloccare la rivalutazione delle pensioni. Parità di trattamento per le pensioni delle donne”

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“Il progressivo impoverimento dei pensionati è allarmante e non è degno di un paese civile. Troppi anziani vivono in condizioni umilianti ed è necessario che si affrontino due nodi fondamentali: quello dell’incapienza per risollevare anche fiscalmente le pensioni più povere e lo sblocco immediato della rivalutazione delle pensioni, affinché non avanzi questo devastante processo di riduzione del reddito dei pensionati. O vogliamo che quella metà di pensioni sotto i mille euro cresca ancora? Voglio solo ricordare che il fenomeno della incapienza vale 2,5 miliardi di euro per quel che riguarda la platea dei 15 milioni di pensionati che, sull’altare dell’incapienza vedono bruciati quasi il 12% degli sconti fiscali previsti dalle norme Irpef. Ma in realtà a pagare il prezzo sono i 9 milioni di pensionati con imponibile al di sotto dei 12 mila euro lordi di pensione: troppo poveri per poter utilizzare le detrazioni e le deduzioni! Si stanno determinando nel frattempo situazioni paradossali: mentre cresce la spesa per l’assistenza, contemporaneamente diminuisce il reddito disponibile per pensionati e lavoratori”. Con queste parole Massimo Vivoli presidente Fipac-Confesercenti commenta i dati diffusi oggi dall’Inps. “Solo un paese egoista e miope può accettare con indifferenza – continua- il fatto che un pensionato abbia meno di mille euro al mese, senza che si possano recuperare risorse razionalizzando la spesa pubblica ed eliminando gli sprechi. Ma va tenuto conto anche di un altro elemento ulteriormente preoccupante. Infatti, se metà degli anziani arriva a mille euro al mese, è perché la media viene alzata dal calcolo pensioni dei dipendenti pubblici che come è noto hanno avuto una vita lavorativa dettata da regole e livelli stipendiali fissati per legge. Ma se togliamo dal computo questa categoria, quei mille euro scarsi precipitano a 791 euro. Colpisce inoltre la constatazione delle notevoli differenze di trattamento fra uomo e donna, frutto ovviamente delle condizioni in cui si è svolta la attività lavorativa. Una distanza che deve far pensare (1068 per gli uomini e 589 donne) al fine di operare già sul mercato del lavoro per evitare che una volta in pensione la donna lavoratrice si trovi a dovere fare i conti con un assegno da fame e lesivo della sua dignità. Il tema della condizione anziana insomma è stato abbandonato con troppa disinvoltura dalle classi dirigenti ed ora pensioni ed assistenza sono divenute due emergenze che non si devono ignorare. Per questo, riteniamo che il Governo, con la collaborazione delle organizzazioni di settore, deve avviare un percorso politico che metta al centro il lavoro ed la questione del reddito dei pensionati ma non per fare cassa, bensì per ripristinare un welfare più equo ed in grado di rispettare milioni di anziani e le loro esigenze economiche e sociali.

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