Potenziare strumento utile in questa fase, contro abusi ci sono nuove norme su tracciabilità
La debolezza della ripresa e le incertezze che gravano sulle prospettive della nostra economia rendono molto difficile per le imprese una programmazione a lungo termine delle attività. Non c’è da stupirsi, dunque, se queste ricorrono al lavoro accessorio, come testimoniato dall’aumento dell’utilizzo dei voucher segnalato oggi dall’INPS nei primi mesi del 2016, e comunque in frenata rispetto all’incremento registrato nello stesso periodo dello scorso anno sul 2014.
La ripartenza iniziata nel 2015, infatti, ha iniziato già dall’ultimo trimestre a dare segni inequivocabili di rallentamento, in seguito confermati anche dalle previsioni della Banca d’Italia e del Fondo monetario internazionale. In una fase come questa, il voucher è uno strumento utile a tutti: alle imprese, soprattutto nella gestione dell’attività non programmabile, in particolare nei settori di commercio turismo e servizi, ma anche ad un’importante quota di lavoratori – tra cui studenti e genitori – che desiderano un lavoro flessibile e non strutturato per poter far fronte agli impegni privati, come ci dicono i dati Inps: i lavoratori che vengono pagati con i buoni, infatti, sono soprattutto donne (in oltre la metà dei casi) e giovani, visto che l’età media non arriva ai 36 anni.
Per questo riteniamo fuori luogo le polemiche a priori sull’uso dei buoni lavoro. Anche perché la stretta già c’è stata: le nuove norme introdotte per garantire la piena tracciabilità dei voucher sono una garanzia non solo verso possibili abusi dei datori di lavoro, ma anche verso la concorrenza sleale operata a danno degli imprenditori che utilizzano correttamente questo strumento. Per questo riteniamo che, dopo aver fatto il punto sulle regole, si debba procedere ad una fase di potenziamento dello strumento: in primo luogo alzando il tetto annuale di compensi percepibili dai prestatori ed anche di quello erogabile dalle imprese commerciali.