Il governo italiano ha ora la responsabilità di tradurre in azioni il progetto di riforme annunciato: venerdì approderanno sul tavolo del Consiglio dei Ministri la riforma della P.A., la semplificazione del fisco e la riforma delle norme sugli appalti. Quali sono, secondo Lei, gli interventi prioritari per rimettere stabilmente il Paese sul sentiero della crescita?
Voglio fare due esempi: l’Italia è il paese delle 63.000 norme tributarie ed è al 142° posto nel mondo per peso della burocrazia. Questi due numeri mi sembrano sufficienti per spiegare l’urgenza di fare le grandi riforme ferme al palo ormai da tanti, troppi anni: provvedimenti di semplificazione fiscale ed amministrativa, razionalizzazione e maggiore efficienza per la P.A, lotta alla corruzione e riduzione del peso fiscale complessivo sulle imprese. Da queste misure occorre ripartire per dare un senso compiuto al nostro paese ed una prospettiva di sviluppo alle nostre imprese, ma per farlo occorrono risorse adeguate ed una chiara volontà politica. Qualunque processo di riforma, quindi, deve tenere conto del fatto che le risorse necessarie non possono che essere reperite da una pesante lotta agli sprechi che si annidano nei meandri di una spesa pubblica mostruosa e che il debito pubblico Italiano, se non viene ridotto con interventi strutturali, sarà sempre il nostro tallone d’Achille nella competitività del paese e agli occhi del mondo. Confesercenti ne ha fatto la propria bandiera da molti anni, sapendo anche che alcuni di questi interventi non hanno bisogno di grandi coperture finanziarie, al massimo di grandi consensi politici e con le ultime elezioni Europee ed amministrative gli elettori hanno dato un mandato molto chiaro al Premier Renzi: il paese, per stare al passo con competitors sempre più agguerriti in un mondo sempre più globale, ha bisogno di cambiare e di autoriformarsi, occorre farlo partendo dai temi che abbiamo indicato perché adesso non esistono più alibi.
Dal 1° Luglio inizia il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea. Cosa chiedono le imprese fiorentine ed italiane all’Europa?
L’Europa dell’austerità deve “cambiare verso”. Occorre una politica economica nuova, che tenga conto di tassi bassi e bassa inflazione, che faccia arrivare risorse dagli Stati a famiglie e imprese e non dagli Stati alle Banche, che prenda atto delle enormi differenze tra i paesi dell’Unione differenziando gli interventi; credo che non sia possibile farlo senza ridisegnare un nuovo ruolo per il pubblico nei processi di crescita del paese e affermando una nuova Governance Europea. Ecco perché in Europa, anche approfittando dei nuovi equilibri politici post-Europee, dobbiamo necessariamente farci sentire e spingere l’acceleratore sui processi, già in atto, di revisione delle politiche di austerity e di rispetto fideistico dei vincoli di bilancio. Nessuno dice che dobbiamo finanziare lo sviluppo dell’economia facendo nuovo debito, ma, sicuramente non si può ripartire basandosi solo esclusivamente sugli investimenti di carattere privato. L’Italia è stato uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea, e, ancora oggi, nonostante la crescita, in tutta Europa, dei movimenti No-Euro restiamo, lo testimonia anche l’ultimo passaggio elettorale, un paese che crede nell’integrazione come strumento di crescita economica e sociale. Confidiamo che, anche su questo passaggio, il semestre di presidenza italiana possa giocare un ruolo importante, decisivo, di “svolta”.
Lei è vice presidente del consorzio Italia Comfidi, il confidi più grande d’Italia. Le ultime mosse della Bce lasciano ben sperare in un miglioramento dell’accesso al credito per le imprese, soprattutto per quelle piccole e medie. Che ruolo hanno i confidi sul vostro territorio?
Tutti i dati in nostro possesso dimostrano come i consorzi Fidi, durante gli anni della crisi, hanno garantito un importantissimo flusso di risorse alla piccola e media impresa dell’intero territorio nazionale. In particolare in Toscana, la quantità di finanziamenti assistiti da garanzie è oltre il doppio rispetto alla media nazionale, segno inequivocabile di un grande lavoro per favorire l’accesso al credito che la nostra Società Consortile ha fatto. E’ noto come le imprese italiane, in grandissima parte di modeste dimensioni e poco patrimonializzate, da sempre utilizzano il canale bancario per finanziare attività ed investimenti: con tutto quello che è successo negli ultimi 5 anni, se non ci fossero stati strumenti di agevolazione del credito come i consorzi Fidi, si sarebbe potuto assistere ad un vero e proprio “blocco” dell’economia nazionale. Adesso che Draghi ha ridotto, in modo significativo, il tasso di sconto, e si annuncia, sempre a livello europeo, un pacchetto di interventi importante a sostegno del mondo bancario, vi sono tutte le condizioni affinchè ripartano gli affidamenti alle imprese. L’importante è che, come già successo in passato, tali risorse vadano realmente a beneficio di imprese e famiglie e non nel “ventre molle” del sistema bancario.
Il turismo è un potenziale volano di sviluppo e crescita economica per il nostro Paese ed, in particolare, per una città ad alta vocazione turistica come Firenze. Quali sono, dal suo punto di vista, gli interventi strategici e strutturali prioritari per rilanciare il settore in un’ottica di sviluppo territoriale e nazionale?
Anche qui partirei dai dati, perché solo la città di Firenze conta mediamente oltre 7 milioni di visitatori ogni anno e in provincia di Firenze, esistono i luoghi di Leonardo da Vinci, di Boccaccio, le dimore storiche, la campagna ecc. che attraggono un altro milione e mezzo di turisti. In un mondo sempre più globalizzato, in cui emergono continuamente “nuovi ricchi” e “nuove economie”, l’Italia può sicuramente veder lievitare, anche nel breve periodo, presenze ed investimenti, anche stranieri, nel settore. Certo, anche qui, da un punto di vista politico ed amministrativo sono ancora molte le cose da fare.Innanzitutto una promozione unica a livello nazionale che sopperisca alle lacune dei livelli regionali e locali del territorio, su modelli che ci giungono da altri paesi europei. Poi, occorre fare un salto di qualità nell’offerta ed accoglienza turistica, anche incentivando da un punto di vista fiscale le imprese ricettive che investono in ristrutturazioni, innovazione tecnologica e servizi, con meccanismi premiali che accolgano le novità introdotte in questi giorni dal ministero integrandole, con un effetto moltiplicatore, con strumenti e incentivi regionali. Il recentissimo intervento legislativo del Ministero sul turismo, infatti, dà segnali importanti su strumenti come il credito d’imposta, tende a semplificare e riorganizzare funzioni ed enti, ma sulla parte più legata al rispetto delle tradizioni culturali e del decoro urbano è un esempio di cosa invece non si dovrebbe fare, eliminando regole dove sono necessarie e piantando ulteriori paletti per chi, invece, fa impresa nel pieno rispetto della legalità e della concorrenza. Infine, cosa che non sempre viene fatta, occorre destinare le risorse ( in alcune realtà anche di significativa entità) della tassa di soggiorno ai settori di accoglienza e promozione turistica, perché la richiesta di ‘Italia’ nel mondo aumenta, ma se non crescono di pari passo in qualità, accessibilità, offerta ecc. anche i luoghi del turismo, siano essi le nostre città, le nostre coste, la montagna ecc, il Belpaese continuerà a perdere appeal.
La proliferazione dei centri commerciali e la deregulation degli orari commerciali stanno mettendo a rischio quel grande patrimonio economico, culturale e sociale rappresentato dall’impresa diffusa e dal commercio di vicinato. Cosa fare per contrastare il fenomeno della desertificazione urbana e difendere e valorizzare i centri urbani delle nostre città?
Purtroppo una classe dirigente poco illuminata ha fatto in modo che per oltre 25 anni la grande distribuzione invadesse il mercato, con poche regole, spesso con interessi particolari e senza il minima attenzione per le negative conseguenze sui territori. La sensazione che le nostre battaglie abbiano incontrato spesso muri di gomma, sia a livello nazionale, sia al livello locale è fortissima. Il fatto che la fase di espansione della GDO sia alle spalle, non deve farci abbassare la guardia: occorre ancora fare tutto quanto in nostra facoltà per impedire la crescita e la proliferazione di nuove strutture e che gli orari ed i giorni festivi diventino una giungla in cui districarsi. Nonostante il pacchetto liberalizzazioni di Monti, vi sono ancora alcuni strumenti legislativi, anche a livello regionale, (si pensi all’Urbanistica) che, se utilizzati in modo intelligente, posso costituire un freno rispetto a questa avanzata “barbarica”. E’ chiaro che non possiamo fermarci qui, ma dobbiamo anche proporre politiche attive di promozione e vitalizzazione del tessuto commerciale delle pmi, programmando eventi, iniziative, rilanciando i centri commerciali naturali, disegnando una nuova idea di Centro storico ed urbano a portata di cittadini e famiglie. Ci sono importanti esperienze europee di aggregazione sul modello dei nostri Centri Commerciali Naturali, che mettono insieme pubblico e privato, che interagiscono con le funzioni delle città, che sono motore di sviluppo e che possono essere un modello da importare e adattare per costruire centri storici ed urbani accoglienti, accessibili, con un’idea chiara di decoro urbano e vivibilità, che siano il luogo principe dell’animazione, del divertissement, delle crescita sociale, relazionale ed intellettuale dell’individuo. Occorrono, poi, anche strumenti di carattere fiscale ed economico per combattere la piaga dei fondi sfitti e della desertificazione di alcune aree del territorio: NO TAX AREA per chi investe in queste attività, almeno per quanto concerne i tributi di carattere comunale e locale, attivazione di contributi per ristrutturazioni e affitti di natura commerciale ecc. Ma per farlo occorre una grande slancio culturale, che passa anche attraverso la sensibilità dei tanti nuovi amministratori che in questi giorni hanno preso le redini delle nostre città: insieme a loro abbiamo voglia di tornare a scommettere, ad investire e a fare impresa nei nostri centri storici.