La questione dell’olio d’oliva spacciato per extravergine, prodotto da alcune note marche commerciali, sono una nuova tegola sul Made in Italy che deve – secondo Fiesa Confesercenti – far riflettere tutto il settore agroalimentare.
Ad essere colpito questa volta è il settore oleario, uno dei più pregiati della nostra produzione agroalimentare, secondo produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna, con un fatturato del settore stimato intorno ai 2 miliardi di euro. Ma anche un comparto che – continua Fiesa Confesercenti – contrariamente a quello del vino stenta ad intraprendere la via dell’alta qualità certificata e garantita dalle denominazioni protette. Ed infatti il peso percentuale delle DOP sul totale della produzione di extravergine italiano è inferiore al 5%: un dato che racconta la difficoltà del settore a fare il salto di qualità.
La magistratura – continua la Federazione degli alimentaristi di Confesercenti – operi con severità, facendo ritirare dal commercio, ove non lo avesse già fatto, tutti i prodotti sotto esame, ma la politica agricola italiana deve cominciare a pensare a rafforzare i controlli verso i piani alti delle filiere – quelli produttivi – perché ancora una volta esce dimostrato che frodi e truffe in commercio avvengono nella fase a monte della commercializzazione, come dimostrato dall’ultimo Rapporto sulla Sicurezza Alimentare presentato da Confesercenti e Federconsumatori lo scorso 21 ottobre a Roma. Il Rapporto ha evidenziato perdite per l’agroalimentare italiano stimabile intorni ai 12 miliardi negli ultimi 15 anni. E’ ora di porre argini a frodi e truffe. Si specializzino i corpi speciali di repressione delle frodi e si introducano meccanismi di controllo e valutazioni in crescendo – tipo la patente di guida – fino a ritirare l’autorizzazione a produrre, anche ai grandi marchi, laddove necessario. Infine, per Fiesa, il caso dell’olio d’oliva sotto inchiesta – dimostra anche che c’è bisogno di educazione alimentare e nessuno può aspettarsi qualità eccellente a prezzi da sottocosto, prevedendo corsi di educazione civica con particolare riferimento alle tematiche dell’alimentazione, anche per le sue impattanti implicazioni sulla vita dei cittadini”.
“Le marche coinvolte – continua la nota di Fiesa – comunque non sono generalmente presenti nei piccoli esercizi di vicinato alimentare che qualificano la loro offerta privilegiando le produzioni tipiche locali e a denominazione protetta per oltre il 50% dell’assortimento”.
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