I ministri delle Finanze dell’Ue hanno trovato l’accordo, dopo molti mesi, sulla riforma del patto di stabilità, prima che venga disattivata la clausola di salvaguardia, a partire dall’inizio del 2024.
L’intesa è stata “unanime”, ha detto la ministra spagnola Nadia Calvino: anche l’Italia ha dato il suo assenso, in uno “spirito di compromesso”, come ha detto durante la videoconferenza dell’Ecofin il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Il nuovo patto, ha aggiunto, è “più realistico” di quello precedente.
Inoltre, ha sottolineato, “l’Italia ha ottenuto molto e, soprattutto, quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese, volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito, mentre dall’altra guarda agli investimenti, specialmente del Pnrr, con spirito costruttivo”.
L’accordo raggiunto in Consiglio sulla posizione negoziale si basa sulla proposta avanzata dalla Commissione in primavera, ma la complica. L’obiettivo di semplificare il quadro della governance
economica non viene raggiunto: era complicato e resterà complicato, essenzialmente per motivi legati alle esigenze di politica interna di ciascun governo.
Per il commissario Paolo Gentiloni, se la riforma aggiunge “complessità” alla proposta della Commissione, ne conserva però “il cuore”, in primis “l’equilibrio tra stabilità nella finanza
pubblica e riforme e investimenti”. L’Europa, aggiunge, “ha bisogno di regole comuni, non di nostalgie dell’austerity” e “penso che questo compromesso ci aiuterà in questa direzione”.
Quella concordata nell’Ecofin non è la versione definitiva delle regole, che che dovrebbero concludersi prima di fine legislatura: si tratta, tecnicamente, di tre proposte legislative.
Per la ministra spagnola, la riforma è “equilibrata”, dato che prevede ben “quattro salvaguardie: sul debito, sul deficit, sulla contro ciclicità e per proteggere gli investimenti”. Restano due bracci del patto: quello correttivo e quello preventivo.
La procedura per deficit eccessivo non cambia (cambiano le sanzioni, che vengono abbassate in modo che sia più facile infliggerle ai ‘reprobi’), ma cambiano le condizioni cui dovranno sottostare i Paesi sotto procedura.
FLESSIBILITÀ
Per evitare che gli Stati che finiranno in procedura la prossima primavera, tra cui quasi sicuramente l’Italia e la Francia, debbano tagliare gli investimenti in un momento in cui devono essere fatti (quelli per la transizione climatica vanno fatti “ora”, rimarca una fonte di Bercy), viene introdotta nel testo, tramite un ‘considerando’, una forma di flessibilità, per cui la Commissione Europea tiene conto della maggiore spesa per interessi valutando il percorso di rientro da concordare con il Paese (piani di aggiustamento basati su una traiettoria di spesa, di 4 anni estendibili a 7 tenendo conto di riforme e investimenti), limitatamente al periodo 2025-27.
PARAMETRI
In particolare, la Commissione terrà conto dei Pnrr nella decisione sull’estensione del piano, un punto che stava a cuore sia alla Francia che all’Italia. Il parametro che conta è quello della spesa netta, il rispetto del quale verrà controllato tramite un apposito conto: al superamento di determinate soglie di scostamento (0,3% di Pil di deficit annuo, 0,6% cumulativo nel periodo di piano), la Commissione redige un rapporto e può lanciare una procedura per deficit. Il conto viene azzerato alla fine del periodo di piano. Vengono introdotte nel braccio preventivo, per volontà soprattutto della Germania, due salvaguardie ‘orizzontali’, valide per tutti, una sulla riduzione minima del debito annua (1% del Pil per i Paesi sopra il 90%, 0,5% per quelli tra il 60% e il 90%), l’altra sul deficit, più complessa, che era particolarmente problematica per l’Italia.
DEFICIT
La salvaguardia sul deficit, fortemente voluta dal tedesco Christian Lindner, prevede un obiettivo di deficit dell’1,5% strutturale, con un margine di 1,5% del Pil rispetto all’obiettivo del 3%, per i Paesi con debito sopra il 90% del Pil; il margine è dell’1% per i Paesi al di sotto del 90% (quindi l’obiettivo di deficit strutturale è del 2%). Per mitigarne l’impatto, si è deciso che il ritmo di convergenza verso questo obiettivo sarà graduale, con un aggiustamento minimo strutturale primario dello 0,4% annuo, che si riduce allo 0,25% annuo nel caso di estensione del periodo di piano (sono soglie leggermente superiori a quelle incluse nella bozza dell’ultimo Ecofin, rispettivamente 0,3% e 0,2%).
Per l’Italia, e per la Francia, rispetto alle regole attuali, irrealistiche, si tratta di un guadagno netto: rispetto all’Mto, Parigi guadagna oltre un punto di Pil, Roma ancora di più. E l’aggiustamento minimo, dello 0,25% strutturale primario, è assai più dolce di quello previsto dalle regole attuali (minimo di 0,5% di saldo strutturale ogni anno). Per una fonte di Bercy, “non si può dire” che le nuove regole portino l’austerità, perché, paragonandole a quelle vecchie, il miglioramento è netto. E per l’Italia si tratta di “un buon accordo”, sottolineano da Parigi.