La ricerca Cer Eures per #Confesercenti2017
Per rafforzare i consumi e la crescita del Pil, occorre rimettere i soldi in tasca agli italiani, ponendo al centro delle politiche economiche il rafforzamento del potere d’acquisto delle famiglie.
Per questo Confesercenti propone al Governo un patto per i salari che permetta di applicare ai futuri incrementi retributivi contrattuali la detassazione attualmente riconosciuta ai premi di produttività. Un intervento che, a regime, ci farebbe guadagnare mezzo punto di crescita dei consumi e di Pil in più all’anno. E senza incidere sull’equilibrio dei conti pubblici, perché la detassazione insisterebbe su un gettito fiscale che deve ancora essere messo a bilancio, essendo legato ad incrementi retributivi futuri.
Secondo le simulazioni condotte da Cer Eures per Confesercenti, l’estensione della detassazione permetterebbe alle famiglie, a fronte di ogni incremento aggiuntivo della retribuzione del 2% in termini reali, di recuperare 10 miliardi di reddito disponibile, con effetti positivi sulla crescita, sul tessuto imprenditoriale e sull’occupazione: permetterebbe infatti la nascita di 5mila imprese del commercio in più e la creazione di 60mila posti di lavoro.
Tabella: effetti della detassazione degli aumenti retributivi*
Reddito disponibile | +10 miliardi |
Variazione del Pil | +0,5 punti percentuali |
Pmi del commercio | +5mila |
Occupazione | +60mila posti di lavoro |
*variazioni annuali con aumento del 2% in termini reali
La nostra proposta mira a ridare centralità ai consumi. L’istanza per la competitività ha trovato ufficiale riconoscimento con l’adozione del programma Industria 4.0, di cui parte integrante sono le detrazioni fiscali riconosciute agli investimenti produttivi. Assai meno attenzione continua a ricevere, nel dibattito di politica economica, il tema della ripresa dei consumi, della cui caduta si prende atto, senza tuttavia riconoscere la necessità di misure di stimolo dedicate. Ciò nell’assunto che il più generale obiettivo di aumento della produttività, posto al centro di pressoché tutte le analisi dedicate al ritardo di sviluppo dell’economia italiana, sia conseguibile attraverso una strategia di rafforzamento del settore manifatturiero e di contestuale espansione sui mercati esteri.
Negli ultimi anni, questo tipo di impostazione ha fatto sì che le politiche di incentivazione fiscale si rivolgessero soprattutto alle realtà esportatrici e alle grandi imprese, trascurando le piccole e medie attività che operano per lo più sul mercato interno.
Un’asimmetria particolarmente evidente se si analizza l’impatto del maxi-ammortamento varato per l’anno di imposta 2017: nel commercio e nei servizi coinvolgerà solo tre imprese su dieci, rispettivamente il 29,8 ed il 31,4%, escludendone il 70%. La percentuale di soggetti beneficiati dal provvedimento sale invece al 48,2% per le imprese esportatrici e al 58,4% per quelle con più di 500 addetti.
Percentuale soggetti beneficiati del maxi-ammortamento per l’anno di imposta 2017
Commercio | 29,8% |
Servizi | 31,4% |
Imprese esportatrici | 48,2% |
Imprese sopra i 500 addetti | 58,4% |
La precedenza accordata a grandi imprese e realtà esportatrici ha avuto effetto: nel 2015 le esportazioni hanno superato i livelli pre-crisi.
Nonostante due anni di ripresa, invece, i consumi finali degli italiani sono ancora abbondantemente al di sotto dei livelli registrati prima della recessione: al netto dell’inflazione, nel 2016 i consumi sono ancora inferiori del –4,8% ai livelli pre-crisi (2007), per circa 47 miliardi di euro in meno in valori assoluti. La ripresa dei consumi, insomma, non è ancora arrivata: continuando ai ritmi attuali, torneremo ai livelli di consumi del 2007 solo nel 2020. La differenza di dinamismo tra esportazioni e consumi è ancora più eclatante se si esamina il differenziale di crescita tra i due: dal 2008 a oggi, l’aumento delle esportazioni ha sopravanzato quello della spesa delle famiglie di quasi 13 punti, e toccherà i 21 punti nel 2019.
Variazione della spesa per consumi delle famiglie italiane – prezzi costanti, miliardi di euro
2007 | 2013 | 2016 | Var. assoluta e % 16/07 | ||
Totale | 984,6 | 908,6 | 937,5 | -47,1 | -4,8% |
Fonte: Elaborazioni Eures Ricerche Economiche e Sociali su dati Istat
In questo quadro, l’annuncio del blocco delle clausole di salvaguardia è estremamente positivo. L’aumento IVA previsto, infatti, avrebbe frenato ancora di più la ripresa dei consumi e la crescita del Pil. Se si procedesse all’innalzamento delle aliquote, perderemmo a regime 8,2 miliardi di consumi: si tratta di circa 305 euro di spesa in meno a famiglia. Sul prodotto interno lordo, invece, l’impatto negativo ammonterebbe a -5 miliardi di euro. L’effetto atteso sui prezzi, infatti, è di un aumento dello 0,7%. Una stangata che secondo le nostre analisi si trasformerebbe quasi completamente in contrazione di spesa, anche considerando che le due aliquote interessano molti servizi e generi di largo consumo, colpendo anche le fasce più deboli della popolazione. L’aumento dell’Iva penalizzerebbe, i consumatori italiani anche nel confronto europeo: dal punto di vista dell’imposizione sui consumi l’Italia si colloca tra le prime posizioni nel panorama internazionale, seconda solo alla Svezia, paese noto per l’elevata pressione fiscale come il resto dei paesi scandinavi. Sommando la tassazione dei consumi nelle forme vigenti oggi, si ottiene per l’Italia un valore dell’11.7 per cento del Pil, in salita dal 10,3 registrato nel 2008. E che si confronta con l’11 per cento della Francia, fino al ben più modesto 9,5 per cento osservato in Spagna.
Manovra sull’Iva: impatto stimato sull’economia italiana con aumenti delle aliquote a regime
effetto a regime | |
Pil | -5 miliardi |
Consumi delle famiglie | -8,2 miliardi |
Prezzi | +0,7% |
Anche in assenza dell’aumento IVA, le difficoltà vissute dal mercato interno in questi dieci anni di crisi non hanno mancato di incidere sul tessuto imprenditoriale italiano di tutti i settori. Escludendo le libere professioni, dal 2007 ad oggi, imprenditori, lavoratori in proprio e collaboratori familiari sono passati da 4,3 milioni a 3,7, con una perdita secca superiore alle 600mila unità. Nello specifico, abbiamo perso 81mila imprenditori in senso stretto, 78mila lavoratori in proprio con dipendenti, 336mila senza dipendenti e 108mila coadiuvanti familiari.
Variazioni occupati indipendenti per profilo professionale 2016-2007 (mgl)
2007 | 2016 | Variazione: 2016/2007 | |
Imprenditore | 316 | 235 | -81 |
Lavoratore in proprio | 3.595 | 3.182 | -413 |
-senza dipendenti | 2.499 | 2.163 | -336 |
-con dipendenti | 1.097 | 1.019 | -78 |
Coadiuvanti familiari | 418 | 310 | -108 |
Totale | 4.329 | 3.727 | -602 |
La crisi del mercato interno ha colpito soprattutto le Pmi del commercio, che sono state letteralmente decimate. Tra il 2011 ed il 2016, ci sono state ben 267mila chiusure, in media 122 al giorno. Fa eccezione il commercio in franchising, che trova affermazione nella grande distribuzione ma anche e soprattutto tra i piccoli commercianti. E che ha realizzato un fatturato complessivo che nel 2016 si attesta a oltre 24 miliardi di euro, registrando una crescita del +0,5% rispetto all’anno precedente. Il settore conta infatti ben 54 mila punti vendita (circa il 6,6% del totale delle imprese commerciali in sede fissa censite dal Ministero dello Sviluppo Economico) e offrendo lavoro a circa 200mila addetti.
Esistono delle ottime ragioni sociali ed economiche per sostenere il tessuto di piccole e medie imprese della distribuzione commerciale tradizionale. Le piccole attività, infatti, sono caratterizzate da un’intensità occupazionale maggiore della GDO. Secondo le rilevazioni di Cer-Eures, le Pmi commerciali con un fatturato entro un milione di euro occupano in media 12,9 dipendenti, oltre il doppio dei 5,9 dipendenti per milione di euro di fatturato impiegato in media dalle imprese del settore. Una differenza significativa, soprattutto nel caso si predisponesse un piano di stimolo per l’aumento dei consumi. L’incremento di un miliardo di euro di fatturato nel commercio tradizionale determinerebbe infatti 13mila nuovi posti di lavoro, mentre lo stesso aumento del volume delle vendite nella Gdo porterebbe a 3.500 nuovi occupati, con una differenza di 9.500 unità. Le Pmi sono più interessanti della Gdo anche per l’erario: l’incremento di un miliardo di euro di fatturato determinerebbe un incremento di gettito fiscale di 78 milioni di euro, mentre lo stesso aumento del volume di vendite nella grande distribuzione organizzata porterebbe maggiori introiti per il fisco di soli 38 milioni. Sostenere l’economia delle piccole imprese del commercio tradizionale vuol dire dunque sostenere l’occupazione e l’efficienza del sistema fiscale.
Verso un Piano Nazionale per il Commercio 4.0
Il Commercio raramente viene considerato come un settore capace di adottare nuove tecnologie e di contribuire al processo di diffusione dell’innovazione. Eppure, è innegabile che il comparto sia ormai da anni interessato da trasformazioni profonde, che stanno mutando l’intera matrice dell’offerta. Evoluzioni che fino a oggi sono state vissute solo passivamente dalla politica economica, tanto da considerare quasi ineluttabile il dimagrimento della struttura commerciale tradizionale, sostanzialmente destinata a soccombere di fronte a una tendenziale polarizzazione fra grande distribuzione organizzata e piattaforme di vendita on-line. In questo modo si protrae una situazione di crisi avviata dalla recessione dei consumi e che ora trova alimento nella difficoltà finanziaria che la gran parte degli esercizi commerciali trova nell’adattarsi alle nuove forme di mercato.
I luoghi fisici dello scambio sono certo destinati a modificarsi profondamente, ma non a scomparire. E davvero fa specie, a questo riguardo, che non si colga il contrasto fra l’attenzione dedicata al tema delle “città intelligenti” e la sostanziale indifferenza verso il depauperamento degli esercizi commerciali, che pure della città sono elementi caratterizzanti fondamentali. Sta il fatto che le analisi dedicate al tema delle smart cities identificano numerosi stakeholders, fra i quali non compaiono però mai gli esercizi commerciali. Al fine di realizzare una crescita più bilanciata dell’attuale e di rendere più omogeneo il processo di diffusione dell’innovazione, è auspicabile che questo atteggiamento di passività verso le sorti del settore del Commercio sia superato e che apposite misure di promozione dell’innovazione vengano adottate. Ciò che si propone è un’estensione del Programma Industria 4.0, specificamente dedicato al settore e che superi la restrizione degli incentivi agli acquisti di determinate tipologie di macchinari con rilievo limitato per il Commercio, soprattutto per le imprese di dimensioni minori. L’obiettivo di tale estensione dovrebbe essere quello di veicolare trasformazioni comunque obbligate verso tre obiettivi di interesse generale, direttamente collegabili alla caratteristica di presenza diffusa sul territorio degli esercizi commerciali:
- l’implementazione dell’Agenda digitale;
- la realizzazione dei progetti di Smart cities e più in generale di riqualificazione degli spazi urbani;
- il presidio per la sicurezza delle città.
Un accordo fra le Associazioni di rappresentanza e il Governo potrebbe quindi portare alla costituzione di un “Fondo rotativo per l’innovazione negli esercizi commerciali”, attraverso il quale favorire iniziative quali:
- la creazione di reti e piattaforme legate a un luogo fisico (ad esempio il quartiere);
- l’organizzazione di un’offerta turistica integrata, anche in questo caso riferibile a porzioni delimitate di territorio;
- l’implementazione di sistemi condivisi che consentano a una rete di esercizi di trattenere al proprio interno il valore prodotto dalla gestione di dati, sempre più considerata come la principale fonte di ricchezza dell’economia digitale;
- la presa in carico di alcune funzioni base del decoro urbano e della pulizia stradale, dietro apposito riconoscimento monetario;
- la sperimentazione diretta delle tecnologie di gestione delle città intelligenti. Iniziative che rientrerebbero a pieno titolo in un pPer rogramma Commercio 4.0 e che consentirebbero di allineare il settore alle dinamiche innovative tipiche dell’industria.